L'EVANGELO A RIESI

1-Il movimento evangelico nella Sicilia e nel Mezzogiorno dell’Ottocento

Nella storia del Protestantesimo italiano un ruolo di primo piano è sempre stato occupato dalle comunità che hanno operato in aree socio-politiche difficili. Alcune di queste sono state sicuramente quelle di Riesi, un tempo uno dei più grossi e ridenti centri minerari della Sicilia centro-meridionale. Questa località dell’entroterra nisseno, dalla seconda metà del XIX secolo, ha vissuto delle interessanti esperienze protestanti da conquistarsi la fama di paese evangelico per eccellenza: dal 1871 quella Valdese; sul finire dell’Ottocento quella della Chiesa Libera Italiana; dal 1921 quella Pentecostale; e, dal 1971-72 quella dei Testimoni di Geova. Tutto questo fa sorgere un inevitabile interrogativo: qual è stato e quale continua idealmente ad essere lo spessore e il significato di simili esperienze? La risposta a questo quesito va ricercata nelle vicende e vicissitudini del centro e dell’intero Sud. Vediamo di tracciarne un breve quadro.  Nei decenni antecedenti il 1860 la presenza protestante nel Regno delle Due Sicilie era limitata ai soli stranieri residenti (uomini d’affari, artisti, Membri d’Accademie e del Corpo Consolare, ecc.). Per questa ragione, nel primo censimento del Regno d’Italia (1861), il Sud registrò un basso numero di elementi professanti fedi religiose diverse da quella cattolica. Il regime borbonico, nonostante una formale politica di tolleranza, era sempre stato ostile verso ogni forma di proselitismo evangelico nei confronti dei propri sudditi. In ogni modo, non bisogna pensare che tutto il clima fosse ostile alla diffusione di confessioni religiose evangeliche. Negli anni che precedevano l’unità politica italiana e in quelli immediatamente successivi, infatti, l’anticlericalismo dei liberali e dei democratici costituiva un terreno particolarmente adatto alla propaganda antiborbonica e alla diffusione protestante. I liberali, inclini ad accettare l’idea di un rinnovamento religioso del Paese, condividevano con gli evangelici l’idea che il Papato fosse stato ad un tempo il principale alleato del regime borbonico e la massima espressione di restaurazione e di oscurantismo. I democratici, invece, vicini allo spirito giansenista-giacobinizzante di Mazzini, si sentivano simili al messianismo protestante, piuttosto che al Cristianesimo romano. Per screditare i conservatori filo-borbonici, nell’immediato periodo unitario, liberali e democratici strumentalizzarono l’Evangelo a proprio uso e piacimento. Per questa ragione, le varie Relazioni pastorali del tempo, denunciarono la miscredenza di quasi tutti i componenti del cosiddetto ceto civile e la sua profonda faziosità e ambiguità nel sostenere gli evangelici. Gli anticlericali erano, infatti, convinti che eventuali successi della predicazione protestante avrebbero ad un tempo allontanato i ceti popolari dal cattolicesimo e permesso la conquista dei consensi e delle attenzioni dei vari notabili locali. Secondo il loro punto di vista, i liberali sarebbero stati sicuramente percepiti come abili e astuti calcolatori in grado di controllare le masse e di prevenire possibili simpatie e adesioni al Mazzinianesimo e al Socialismo. La prima portentosa opera di propaganda protestante siciliana fu avviata alla fine del 1860, da un nutrito gruppo di predicatori valdesi, lungo l’asse Napoli-Palemo. Agli inizi gli evangelici incontrarono forti ostilità. Certi convincimenti e pregiudizi della cultura meridionale fecero insorgere violente diatribe fra predicatori e popolo, specie se si considera che quest’ultimo era abilmente e sapientemente aizzato dai bigotti e dal clero. I vari atti ostruzionistici, tuttavia, non impedirono ai protestanti di aprirsi delle brecce nella secolare muraglia cattolica. I primi risultati positivi furono registrati già sul finire del 1861, a Palermo, dal pastore Giorgio Appia (Cerrito Gino, Appunti sulla diffusione del protestantesimo in Sicilia dopo l’Unità, nel Bollettino della Società di Studi Valdesi,  n° 114, dicembre 1963). Non tutte le esperienze predicative dei primi valdesi, comunque, furono simili a quelli dell’Appia. Le indicative affermazioni dei primi anni, infatti, presto cedettero il passo ad un nuovo difficile periodo, come diretta conseguenza dell’atteggiamento antipiemontese delle masse, pronte a seguire le direttive dei notabili. Quest’ultimi, con un’abilità davvero unica, riuscirono demagogicamente a colpevolizzare il nuovo regime sabaudo, ritenendolo responsabile dei vari e gravi mali della Sicilia. In tal modo, nell’immaginario collettivo, i conservatori fecero passare l’idea che il valdismo era un’autentica religione alla piemontese, cioè una confessione contraria allo spirito siciliano. I primi predicatori protestanti dell’Italia unita, comunque, riuscirono a superare anche quest’ennesimo periodo e a far conoscere una ben diversa sorte alle proprie comunità. Importanti successi si ebbero negli ultimi mesi del 1871, come conseguenza della presa di Roma (settembre 1870) e della perdita dell’antico prestigio politico del Papato.

 

2-Il primo periodo post-unitario: la chiamata degli evangelici-valdesi

Il delicato e teso clima politico dell’immediato periodo unitario vide giorno dopo giorno acuire le dispute e i contrasti fra elementi del partito clericale ed esponenti liberali. Queste tensioni, a Riesi, si posero alla base della chiamata degli evangelici-valdesi. Le dispute e i rancori che intercorrevano fra gli esponenti dei due maggiori e opposti schieramenti non erano d’origine recente. Il clero, nella qualità di tradizionale e potente alleato del potere, aveva guardato con ostilità e avversità i liberali sin dal periodo pre-unitario. Dopo il fallimento della rivoluzione siciliana del 1848, durante la quale i clericali s’erano illusi in un successo dei vari moti italiani per dare un inquadramento neoguelfo alla penisola e il ripristino della politica reazionaria dell’Ancièn Règime, la ricomposizione della vecchia alleanza trono-altare era diventata inevitabile. Non a caso, da quel momento in poi e sino all’Unità, i giovani intellettuali rijsani d’estrazione liberale si trovarono di fronte alla più dura reazione e opposizione dell’autorità giudiziaria e amministrativa, del ceto benpensante e del Clero. I mezzi che il regime borbonico aveva adoperato nella lotta ai liberali erano stati vari. Quelli che, comunque, alimentarono una considerevole reazione liberale per il passato regime non furono il ricorso agli ovvi e inevitabili sistemi reazionari e repressivi, ma l’ausilio di delinquenti e malfattori. Diversi straccioni, briganti, banditi, ubriaconi e vagabondi del paese, che vivevano con i guadagni delle loro illecite attività (furti, rapine, sequestri di persona a scopo di estorsione e abigeati), infatti, erano stati assoldati per la difesa dello status quo: alcuni come guardie campestri o campieri, con il compito di tenere a bada la povera gente (braccianti e zolfatari); altri nelle Compagnie d’Armi, con l’incredibile incarico di svolgere funzioni poliziesche e di spiare quanti erano sospettati di avere simpatie per i liberali. La politica illiberale del regime borbonico ebbe fine nel 1860, con il  crollo del Regno delle Due Sicilie e l’ingresso del medesimo nel nascente Regno d’Italia. Questo, in ogni modo, non segnò la rottura degli antichi rapporti di forza. Gli antichi legami fra ceto possidente, Clero e mafiosi, infatti, sopravvissero. Ecco perché nessun esponente del ceto liberale, all’indomani del 1861, propose la propria candidatura per la nomina a sindaco, costringendo le autorità prefettizie ad affidare paradossalmente l’incarico amministrativo del paese ad un’esponente della vecchia burocrazia borbonica del partito clericale, Carmelo Inglese. Quest’ultimo, comunque, rimase in carica solo per pochi anni. Nel 1865, infatti, le autorità prefettizie affidarono la guida del paese ad un esponente del ceto liberale, Giuseppe Jannì. Quest’ultimo, grazie alle varie opere che la sua amministrazione deliberò nel 1866 e al gran contributo che diede come farmacista durante il colera del 1867, presto si creò un forte prestigio in contrapposizione con quello del capo del partito clericale, il parroco Gaetano D’Antona. Nonostante il prestigio e la considerazione che Jannì e il suo partito si conquistarono, il partito conservatore, fortemente egemonizzato dall’arciprete di Riesi, mantenne un’egemonia di tutto rispetto. Tale autorevolezza, addirittura, parve accrescersi con quella del suo leader dopo il 1870, nel preciso momento in cui fu varata la legge del 1866 sulla soppressione dei beni ecclesiastici messi all’asta pubblica. Tale legge, infatti, permise al parroco di Riesi, nella veste di semplice cittadino, di poter acquistare numerose tenute e proprietà. Nel 1871 il sindaco liberale cercò di rafforzare il proprio partito nel più incredibile e impensabile dei modi, promuovendo e favorendo la venuta degli evangelici-valdesi a Riesi. L’aspetto più strano e curioso di questa vicenda è rappresentato dal fatto che i valdesi, cioè dei protestanti con molte simpatie politiche a Sinistra, furono chiamati da amministratori della Destra. Sulle simpatie politiche dei valdesi esiste un’ampia e vasta letteratura abbastanza chiara. Essa dimostra inequivocabilmente, sia uno stretto legame tra la Sinistra democratica di stampo mazziniano e il movimento evangelico, sia che oltre il 50% degli evangelici italiani di quegli anni proveniva dalle classi subalterne. Ciò significa che i valdesi erano formalmente ossequiosi alla politica liberale dei Savoia solo perché quest’ultimi, con lo Statuto Albertino del 1848, avevano concesso la libertà di culto. Come si spiega, dunque, che un sindaco e un’Amministrazione Comunale di Destra abbiano insistito per far arrivare i protestanti nel proprio paese? La risposta a quest’interrogativo è più semplice di quanto non si possa pensare. Dal momento che, come si è visto, la vita amministrativa di quegli anni era caratterizzata da singole figure in grado di conquistarsi buone fette di elettorato con atti e provvedimenti autenticamente clamorosi, Jannì e tutto il suo partito tentarono di infliggere un colpo al partito avverso, contando sull’ostilità della predicazione valdese contro la Chiesa romana. La chiamata dei valdesi a Riesi, pertanto, fu consequenziale ai calcoli politici dei liberali e corrispose alle tendenze di alcuni ambiziosi notabili, desiderosi di concretare  le proprie smanie di potere.

 

3-L’arrivo e i primi anni di vita della comunità

Il 31 ottobre 1871, accondiscendendo alle richieste di una lettera-petizione, giunse a Riesi il pastore Augusto Malan. La sua prima predica fu fatta nella sconsacrata Chiesa di San Giuseppe, messagli a disposizione dall’Amministrazione comunale. Ma ecco, a proposito di tutto ciò, cosa annotò lo stesso Malan nel proprio diario, pubblicato postumo su un periodico valdese degli anni Trenta del Novecento. “Nell’ottobre del 1871, mi pervenne una lettera nella quale erano contenute queste poche parole: I sottoscritti, residenti nel Comune di Riesi prov. di Caltanissetta Le dicono che il Loro più ardente desiderio è di avere in mezzo a Loro un pastore Evangelico per sentire promulgare la Verità oscurata. Le è fatta viva preghiera di recarsi al più presto da noi.  Queste parole erano seguite da moltissime firme di uomini appartenenti a tutte le classi sociali. Fra le altre si notano quelle di 4 avvocati, 4 farmacisti, 2 notai, e 32 proprietari. Poco tempo dopo un’altra lettera annunziava che, se avessi accolto la loro domanda, il Sindaco del Comune avrebbe messo a mia disposizione completa una delle 4 Chiese Cattoliche del luogo e precisamente quella di S. Giuseppe onde sia possibile predicare una Quaresima Evangelica. Riesi? Questo nome non mi diceva nulla, non ne avevo mai sentito parlare, eppure mi sembrava di conoscere discretamente la Sicilia.  Dopo aver letto quel che diceva una vecchia guida della Sicilia ed avere appreso alcune informazioni, venni a sapere che Riesi, è un grosso paese di 12 mila abitanti perduto fra le colline del Sud della Sicilia. Non ha nessuna strada carrozzabile ma delle brutte mulattiere. Quel luogo, è molto isolato ed è abitato in buona parte da agricoltori e zolfatai. I Riesini, mi si disse, non sono né ignoranti né superstiziosi; ma sono intelligenti e più evoluti dei paesi vicini. Tutto questo lo devono alla totale assenza di conventi; non già che i frati e le monache non abbiano mai tentato di fissare quivi la loro residenza; ma non vi riuscirono ed i due conventi costruiti caddero rapidamente in rovine. A tutto questo si aggiunga ancora che la pessima condotta del Clero li ha allontanati dalla religione e sono diventati increduli od indifferenti. Queste informazioni mi sembrarono esatte ed in quell’istante ricordai che a Catania, anni fa, avevo ammesso un uomo proveniente da Riesi. Corsi da lui e gli feci vedere le lettere ricevute. Vada, vada, mi disse; è Dio che la chiama. Quelli che hanno firmato quelle lettere, io li conosco, tutti galantuomini: ecco la firma di mio fratello, il dott. Giuliana. E mi raccontò che 2 anni or sono 2 colportori erano andati a Riesi. I preti li avevano minacciati di morte; ma i civili dopo aver comperato dei libi presero le difese dei colportori che in due giorni esaurirono tutta la loro provvista. Il Comitato d’Evangelizzazione, mi autorizzò a recarmi a Riesi per vedere di che si trattava. Partii (da Messina) il 25 ottobre 1871 per andare a predicare una Quaresima Evangelica nella chiesa cattolica di S. Giuseppe, in Riesi. Il viaggio fu lungo e penoso. Dopo 15 ore di diligenza giunsi a Caltagirone ove visitai un vecchio e fedele evangelico di quella cittadina: l’ing. Misaldi. Da Caltagirone a Barrafranca impiegai 11 ore. Ho scritto in altra occasione, che se qualcuno aveva la vocazione del martire e desiderava averne la palma non aveva che da andare a Barrafranca e di dire che era Protestante. A quel proposito ecco quel che mi successe. Giunto a Barrafranca, con mio stupore, non trovai le due cavalcature che avevano promesso di mandarmi da Riesi. Andai allora, per non rimanere in mezzo alla strada, alla ricerca dell’albergo del luogo ove non trovai nulla da mangiare. Dopo aver comperato qualche cosa preparai io stesso la mia cena ed aspettai. Nessuno venne a cercarmi e fui sul punto di ritornarmene a Messina; ma poi, siccome Riesi non era molto distante, decisi di continuare il mio viaggio servendomi di un mulo e, pagandolo profumatamente ottenni quello del mugnaio. Quest’ultimo accondiscese a servirmi da guida. Eravamo appena partiti, quando udimmo le campane suonare a stormo e vidi che molti uomini armati di forche, zappe, tridenti ed altri strumenti agricoli mi inseguivano. Ebbi un’idea: con il mio temperino incominciai a punzecchiare la mia cavalcatura che si mise a correre all’impazzata portandomi in salvo. Più tardi mi spiegarono ogni cosa. Degli uomini erano stati inviati da Riesi a Barrafranca per cercarmi, ma non avendomi trovato e, vedendo che le lettere che dovevano consegnarmi erano indirizzate al Quaresimalista Evangelico pensarono di andarmi a cercare dal prete che generalmente dava alloggio ai frati predicatori. Trovarono il prete con due monache di casa il quale, dopo aver letto le lettere, diede per ricompensa a colui  che  gliele  aveva  consegnate una voleè  di  schiaffi e di pugni. Quindi corse immediatamente dagli altri parroci e subito si misero alla ricerca del Protestante che per fortuna era…già partito! Fecero suonare le campane e, il popolo,  che si  armò  di  strumenti  agricoli,  decisero  di  sopprimere  quell’eretico. E, se non riuscirono a mandare ad effetto il loro piano diabolico,  fu per sola grazia di Dio (…)”.(AVTP, Memorie indite del pastore Augusto Malan. Le origini della Chiesa Valdese di Riesi, in Lettera Aperta, ottobre-dicembre 1934, febbraio-aprile 1935).  Riesi, però, gli riservò un’accoglienza diversa e indimenticabile. Il Malan confessava che non gli fu nemmeno possibile riposarsi per qualche ora. Subito dopo il suo arrivo, infatti, spinto dal grande entusiasmo popolare, fu come costretto a passeggiare per le principali vie del paese, dove era impazientemente atteso dalla popolazione. “Mi furono consegnate le chiavi della Chiesa e stabilimmo che il 31 ottobre 1871, alle 10 del mattino, avrei incominciato il mio Quaresimale. Ero alloggiato in una miserabile stanza vicino alla Chiesa, e questo perché, in questi paesi, mi si disse, non è poi tanto difficile che possano accadere dei…brutti fatti. Ma il brutto fatto non successe e fui sempre l’oggetto del massimo rispetto e della più grande considerazione. Il 31 ottobre alle 7 del mattino fui svegliato di soprassalto dal suono delle campane della Chiesa di S. Giuseppe che suonavano a distesa. Pensai subito che doveva esserci un incendio, oppure che si stava preparando una seconda edizione di…Barrafranca. Mi vestii in fretta e scesi per vedere di che cosa si trattasse. Mi si presentò una scena che non dimenticherò mai. Un vecchio di 65 anni, ancora robusto, l’avv. C. Accardi, tirava la corda delle campane con tutte le sue forze. Sul suo nobile volto brillava una gioia indescrivibile. Quando mi vide, cessò di suonare; ed io gli chiesi come mai un uomo così rispettabile come lui suonava le campane. Egli mi rispose: Quel che  faccio è per me un onore, il più grande della mia vita! Ho suonato queste campane altre due volte: la prima nel 1848 quando cercammo di scuotere il popolo alla libertà; la seconda volta nel 1860 per annunziare al popolo che Garibaldi era sbarcato a Marsala ed aveva vinto a Calatafimi. Da allora abbiamo visto libertà politica; ma questa non ci basta, oggi, nonostante i miei 65 anni, suono ancora queste campane per annunziare che abbiamo conquistato anche la libertà di coscienza. E  ripresa la corda fra le mani, mi salutò e continuò a suonare (…). Non erano ancora scoccate le ore 10 del 31 ottobre 1871 che la Chiesa di S. Giuseppe, era già letteralmente piena. Il sindaco, i consiglieri erano presenti ed occupavano i primi posti a loro riservati. Il mio uditorio era composto, verosimilmente, da più di 300 uomini e 150 donne che stavano in piedi ed occupavano tutta la navata del Tempio. Appena fui entrato,  mi diressi con passo deciso verso l’altare, che si trovava in fondo alla Chiesa, e mi preparai a parlare. Non posso descrivere l’emozione che provai in quell’istante; sentivo una grande responsabilità dinanzi a Dio ed a quelle anime alle quali dovevo annunziare la Buona Novella in simili circostanze.    Era la prima volta che l’Evangelo era predicato a Riesi; la prima volta, in Italia che una chiesa cattolica apriva le sue porte ad un pastore protestante e che delle campane, benedette e battezzate dai preti, chiamavano i fedeli ad assistere a un culto protestante. Poche ore prima del culto, mentre l’avv. Accardi suonava le campane con tanto entusiasmo, i preti avevano provveduto in fretta alla rimozione delle ostie consacrate e dei pochi quadri orribili che adornavano la chiesa. Tutta questa gente mi fissava con una certa curiosità. Io avevo accuratamente preparato un bel discorsetto per la circostanza; ma lo lasciai da parte. Dopo aver invocato la presenza del Signore, recitai il Padre Nostro ed il Simbolo Apostolico. Lessi quindi il II Cap. della I ai Corinzi e presi come testo il versetto 2 e parlai a tutta quella gente assetata di verità unicamente di Cristo Crocifisso. Raccontai loro, in modo semplice, la vita di Gesù, insistendo specialmente sul suo Amore per noi e sulle sue sofferenze per la Redenzione dell’umanità. Man mano che parlavo il silenzio si faceva grande e, quando il culto fu terminato, molti vennero da me per dire: parlate ancora. Mi rifiutai di continuare e li convocai per l’indomani.  Mentre scendevo i gradini dell’altare, ove mai una simile Messa era stata recitata, il sindaco e tutti i notabili del paese si affrettavano a stringermi la mano, mentre alcune donne portavano alle loro labbra i lembi della mia redingote e mi chiedevano una grazia, cioè di…confessarle! Non sapevo molto che rispondere e dissi loro che avremmo riparlato della cosa quando sarei stato in grado di comprendere il loro dialetto e quindi la loro confessione. Si mostrarono soddisfatte della mia risposta e si allontanarono dicendo fra di loro: meschinu un capisce u sicilianu. L’indomani 1 novembre, pioveva, cosicchè fu impossibile a chicchesia di allontanarsi dal paese per andare al lavoro e perciò il mio uditorio aumentò ancora.  Parlai semplicemente su  Giov. 3 vers. 16. Nessuna polemica in questi due giorni e nei sette discorsi che seguirono. Non si trattava per me di demolire, ma di costruire, perché le rovine nel Cattolico Romano sono già grandi. Avrei voluto prolungare ancora il mio soggiorno a Riesi, ma fui costretto improvvisamente a ritornarmene a Messina. Intanto nei paesi circonvicini si diceva che a Riesi era giunto un predicatore straordinario e che tutti si convertivano alla sua religione.” (AVTP, Memorie inedite del pastore Augusto Malan. Le origini della Chiesa Valdese di Riesi, in Lettera Aperta, ottobre-dicembre 1934, febbraio-aprile 1935). La neonata comunità rijsana affrontò subito dure difficoltà e vicissitudini. Di queste vicende, purtroppo, per ragioni allo stato attuale ancora poco note, si possiede una limitata documentazione, idonea solo per l’anno 1872. La documentazione relativa al 1873 e al 1874 è rappresentata dalle isolate Lettere di Corrispondenza, inviate alla Tavola Valdese o dal Consiglio di Chiesa o da singoli Membri del medesimo. Ciò significa che, in riferimento a queste due annate, si può parlare delle condizioni della comunità indirettamente, esaminando le diverse vicende del paese e la documentazione degli anni successivi in un qualche modo collegata alle due annate in questione. Secondo quanto si può rilevare dagli atti, il 1872 era un anno particolarmente delicato e complesso. Durante quell’anno, Augusto Malan giunse a Riesi in tre circostanze diverse: in gennaio, quando accompagnò l’evangelista Francesco Rostagno; tra settembre e ottobre, quando la comunità diretta dal fratello Teofilo visse una nuova fase delicata; e, a dicembre, quando coadiuvò l’opera del nuovo evangelista Emilio Long. I primi due pastori (Rostagno e Teofilo Malan), nonostante giunsero animati da buoni propositi, dopo brevissimi periodi di permanenza, chiesero e ottennero dalla Commissione d’Evangelizzazione il trasferimento. Le abitudini settentrionali, la poca comprensione del dialetto locale e certi pregiudizi, purtroppo, non favorirono un loro inserimento nella realtà del paese, inducendoli addirittura ad abbandonare la Chiesa e le sue varie attività di culto. Verso la fine dell’anno, con l’arrivo del nuovo pastore Emilio Long, la comunità mostrò leggeri sintomi di ripresa. Piena testimonianza ne sono i contenuti delle quattro Lettere di corrispondenza di Augusto Malan. Nella Lettera dell’otto gennaio 1872 Malan scriveva di essere giunto a Riesi con Rostagno (l’evangelista che l’avrebbe sostituito nella guida della nascente comunità subito dopo la sua partenza) in un momento assai difficoltoso. Dopo la breve parentesi Sangiuseppina (ottobre-novembre 1871), durata poco meno di due settimane, al diffondersi della notizia che il Malan stava per rimettere piede a Riesi, i clericali erano passati al contrattacco. Questi, temendo che i valdesi si appropriassero della Chiesa di San Giuseppe e la potessero trasformare in un locale di culto, facevano intervenire il Vescovo presso il Prefetto di Caltanissetta. L’intervento riusciva ad impedire l’ennesima violazione. Il prelato, infatti, ricordava alle autorità prefettizie come nel 1871 il sindaco Jannì aveva consentito ai valdesi di entrare abusivamente, e quindi illegalmente, in una Chiesa cattolica. Il Vescovo, inoltre, faceva presente che il Comune di Riesi, non possedendo alcun titolo di proprietà, non poteva disporre del locale di culto a proprio piacimento come aveva fatto e stava per rifare.  La pretesa del sindaco di Riesi di poter disporre della Chiesa di San Giuseppe derivava dalle vicende che avevano contrassegnato la storia di quel luogo di culto nell’ultimo decennio, cioè da quando esso non era più destinato ad un qualche rito religioso. La Chiesa era stata sconsacrata e abbandonata a se stessa in seguito alle vicende del 1860, durante le quali le autorità militari antiborboniche l’avevano requisita per trasformarla in una sorta di casermone. E, poiché nell’immediato periodo unitario incombeva la minaccia di una possibile rivincita borbonica, le autorità prefettizie avevano stabilito che tale Chiesa poteva essere straordinariamente requisita dall’esercito. Le proteste clericali presto sortivano i loro effetti. Il Prefetto di Caltanissetta, infatti, ordinava al sindaco Jannì l’immediato rilascio della Chiesa di San Giuseppe al clero cattolico. Quest’ultimo, a sua volta, si dava subito un gran da fare, riconsacrandola e riaprendola ai culti. Tutto questo era naturalmente un atteggiamento che i clericali avevano premurosamente preso per privare gli evangelici di un locale di culto, con la speranza di demoralizzarli e disperderli. Fu proprio in questa delicata fase che Augusto Malan assunse un ruolo di autorevole centralità. Egli si prodigò nella ricerca di locali d’affitto da destinare a luogo di culto poiché, essendo la Chiesa di San Giuseppe proprietà della Chiesa romana, fu definitivamente abbandonata l’idea di acquistarla, com’era nelle primitive intenzioni. Il Malan non pensò mai si di abbandonare Riesi e l’evangelista Rostagno tra queste vicissitudini. Anzi, egli mostrò una gran disponibilità a rimanere e a lottare per la soluzione del delicato problema della ricerca di un locale per il culto. All’uopo, scriveva:   “(…) non vorrei lasciar qui Rostagno senza luogo di culto. Conto di rimanere qua finché non se ne sia trovato uno nel quale lo potrò vedere accomodato con la sua adunanza (…). Nonostante non possediamo un locale, la nostra predicazione non è interrotta e continueremo le nostre adunanze in case private che mettono a disposizione, gentili fratelli di questa terra.” (AVTP, Corrispondenza del pastore Augusto Malan. Lettera dell’8 gennaio 1872). Per meglio comprendere l’andamento della neocomunità rijsana è, comunque, fondamentale la visione di alcuni passi centrali di un’altra Lettera del Malan, scritta alcuni mesi dopo. “Finalmente Rostagno è accomodato a Riesi. Era davvero necessaria la nostra andata là, non già perché i Riesani fossero scoraggiati per la perdita della Chiesa di S. Giuseppe, ma perché se non andavamo forse, per molto tempo, non ci sarebbe stato locale di culto evangelico. (…). Se ne è trovato uno (…). Non sono voluto partire da Riesi senza parlare ai miei antichi uditori (…). Furono stabilite quattro adunanze alla settimana: il martedì, il giovedì e la domenica alle 10,30 e alle 15,30.  Io credo che con l’aiuto del Signore si potrà compiere una bell’opera in quel paese (…). Rostagno però non è molto contento di essere stato costretto, in qualche modo, a venire fin là e a dirvi il vero non ha tanti torti. Riesi è un paese ficcato nelle montagne della Sicilia (…) senza comunicazione coi paesi circonvicini. Egli non intende il dialetto locale e spesse volte gli è dura capire l’italiano di alcuni. La locanda in cui egli si trova è la migliore del paese (ma in fondo essa è in condizioni miserevoli). (…). Io credo che sarebbe opportuno, se le cose cominciano bene, che non si interrompa la predicazione e che l’evangelista che dovrà recarvisi si trovi al suo posto prima che Rostagno l’abbandoni.” (AVTP, Corrispondenza del pastore Augusto Malan. Lettera del 12 gennaio 1872). Ecco perché la Commissione d’Evangelizzazione inviò a Riesi il nuovo pastore Teofilo Malan (fratello di Augusto), pensando che questi si sarebbe trovato meglio del predecessore. Il nuovo evangelista, però, si trovò male e non riuscì a dirigere la comunità a dovere. Sotto la sua guida, anzi, la Chiesa conobbe un’altra fase buia. Ecco perché, tra settembre e ottobre del medesimo anno, Augusto Malan fece un nuovo viaggio a Riesi. “L’opera evangelica in Riesi è stata un poco guastata (…) da quegli evangelici che la Commissione vi ha mandato. Il fervore e l’entusiasmo che vi incontrai le altre volte quando sono venuto qua sono molto diminuiti. Però la semenza che qualche tempo fa è stata seminata non è tutta caduta fra le pietre o nelle spine; un poco di buona terra là c’era. Questa buona terra è formata da un nucleo di 20-25 operai che qui chiamano maestri (…). Non c’è da far conto sugli individui appartenenti alla cosiddetta Casa dei Civili (…), assistono a qualche conferenza e inducono col loro esempio le persone del volgo a venirci pure, ma in quanto ad essere realmente evangelici per ora non lo credo salvo 3-4 eccezioni. Con questi maestri e questi 3-4 civili ci sono pure dei contadini, non in gran numero e sui quali si può contare; sicché possiamo dire che gli evangelici per formare una piccola Chiesa anche a Riesi ci sono. Una cosa da notare, inoltre, è la buona volontà di molti di mandare i loro figlioli ad una scuola evangelica (…); parecchi padri di famiglia si sono riuniti al fine di avere presto un maestro evangelico.” (AVTP, Corrispondenza del pastore Augusto Malan. Lettera del 7 ottobre 1872). Nell’ultima Lettera di Corrispondenza del sei dicembre 1872, Malan sintetizzò quello che era avvenuto durante l’anno. In essa, inoltre, fu preannunciato l’arrivo del nuovo pastore Emilio Long. Nella speranza di riacquistare prestigio e di riconquistare alla Chiesa l’interesse dei primi aderenti, fra il Malan e il Long, presto intercorse una stretta. Le difficoltà incontrate nel 1872 presumibilmente continuavano anche nei due anni successivi.

 

4-La società riesina dalle descrizioni dei primi pastori valdesi

Per comprendere il rapporto che si stabilì fra i primi pastori e la società locale è indispensabile una rilettura delle Lettere di Corrispondenza e delle Relazioni del Consiglio di Chiesa. In esse, infatti, emergono una serie di considerazioni sull’ambiente locale, che consentono di capire come i nuovi arrivati percepirono le condizioni socio-economiche, le abitudini di vita e la cultura del paese. I documenti, inoltre, evidenziano le svariate difficoltà che si sovrapposero  all’inserimento evangelico nella realtà rijsana. Ai fini dell’analisi, comunque, si aggiunge un’altra importantissima testimonianza, un manoscritto non datato e non firmato che, per tutta una serie di indizi, si può far risalire ad un periodo non molto lontano da quello dell’arrivo dei primi predicatori valdesi a Riesi. Il documento esordisce con una descrizione del paese che presenta alcuni schemi tipici, con i quali la letteratura dell’Ottocento era solita tratteggiare l’area pascolativa e granaria dell’entroterra siciliano, vale a dire il regno del latifondo. “Riesi, uno dei più grossi comuni della provincia di Caltanissetta, trovasi nel circondario di Terranova, verso il Sud della Sicilia e poco distante dal fiume Salso (…). Sorge sopra un altipiano che anticamente chiamasi con voce araba Rahal-met. Al viaggiatore che arriva dalla parte di Ponente, Riesi offre un aspetto piuttosto pittoresco, con le sue case grigie di colore uniforme in mezzo alle quali spicca solo, essendo più alta delle altre la Casa Comunale. A rompere l’uniformità del paese sorgono i campanili delle quattro Chiese di Riesi chiamate, la Matrice (che è la Cattedrale), la  Chiesa del S.S. Rosario, quella del Signore e finalmente quella di S. Giuseppe in cui non si fa alcun servizio, dacchè nel 1860, v’entrarono i soldati, i quali a detta dei devoti la scomunica (…). La maggior parte del popolo vive ancora in certi tuguri a pianterreno malsani, privi d’aria e di sole, sudicie ciò si capirà facilmente quando si saprà che nella maggior parte di case terrane come li chiamano qui, le persone componenti la famiglia dividono amichevolmente se non fraternamente il loro asilo con muli, maiali, conigli e capre (…). Quantunque la civiltà mediante l’istruzione abbia fatto già capolino, quanto c’è da fare! Quanti usi semi-barbari! Quanti pregiudizi e superstizioni! E quanta ignoranza! La maggior parte dei Riesini son dati ai lavori campestri, quali come padroni, quali come lavoranti, altri lavorano nelle miniere di zolfo, un minor numero sono quelli che si dedicano a un mestiere. Tengono molto alle diverse classi della società, di fatti ci sono i galantuomini (che possono anche essere birbanti) che appartengono alla classe dei signori e hanno diritto al don (…), gli operai e i zolfatai tengono al massaru(…). Gli uomini godono molti diritti che non ha la donna; molte volte mi è accaduto di veder delle madri maltrattate dai loro bambini di 5 anni, e avendo fatto delle osservazioni mi si rispose: ngà nun è masculiddu? I maschi, così sono liberi fin dal momento in cui nascono di tiranneggiare a loro piacimento le mamme, le sorelle e quante creature del sesso debole loro capita alle mani (…). L’educazione alle bimbe è differente. Dopo che una bambina è spoppata e comincia a camminare e a balbettare qualche cosa, la lasciano in balia di se stessa; la mamma crede di aver fatto tutto, quando l’ha alzata, l’ha vestita e le ha dato da mangiare (…). Dopo che le fanciulline son lasciate crescere così, arrivano all’età di 12-13 anni e allora le tengono rinserrate in casa; non possono uscire più se non di rado. Ma che succede? Succede che alla prima occasione, il primo giovinotto che si presenti (facendo segni da lontano, poiché in casa non ci possono andare) ci cascano, s’intendono e molte volte succede una fuga dei due. Questo non avviene soltanto nel basso popolo ma anche fra i cosiddetti galantuomini, e ciò l’ho constatato personalmente (…). I Riesini sono piuttosto intelligenti, in generale, ma molto irriflessivi. Amano molto la musica e il canto e facilmente improvvisano canzonette (…). Quanto a religione, gli uomini, in generale sono indifferenti, sono capaci nelle grandi occasioni di recarsi alla Chiesa o dietro le processioni, ma per curiosità. Le signore del basso ceto vanno regolarmente alla messa e quelle dell’alto ceto ci vanno soltanto nelle grandi occasioni, salvo parecchie eccezioni. Sono molto interessati e attaccati al denaro; molte signore vendono per pochi soldi gli abiti smessi alle persone di servizio o ad altri; prestano denaro prendendo dei pegni di qualunque genere, esigendo come interesse il 40-50% (…). Hanno quasi tutti, chi più chi meno un pezzo di terra; una casuccia propria, ma niente denaro. Quanto all’istruzione vi sono moltissime famiglie che non ci tengono tanto e quando si consigliano di mandare i bambini a scuola rispondono: non deve mica farsi maestro o maestra; non ha la proprietà? Può vivere lo stesso. Malgrado ciò le scuole sono frequentate ogni anno da un discreto numero di bambini d’ambo i sessi (sia le scuole comunali che quelle evangeliche) (…). Verso la fine di maggio molte famiglie si recano in campagna per attendere alla mietitura e ad altri lavori campestri e conducono i bambini, dimodocchè negli ultimi mesi di scuola, parecchi disertano per tornare nuovamente alla riapertura delle classi. L’educazione dei fanciulli qui riesce più difficile che altrove perché i maestri non sono coadiuvati dai genitori. I bambini sono troppo abbandonati a se stessi e la maggior parte vanno a scuola perchè ci vogliono andare e non perché sono mandati dai genitori (…).” (AVTP, Cenni sui costumi di Riesi, manoscritto). Il quadro che se ne ricava, come si può ben vedere, è quello di una società con tratti di forte arcaicità, ancora molto legata a convincimenti e posizioni dei secoli precedenti. Si trova, in questo manoscritto, un modo di interpretare la realtà comune a quasi tutti gli altri pastori. Per loro, provenienti da un’area geografica e culturale tanto diversa da quella siciliana, era quasi un compito insormontabile quello di calarsi all’interno della realtà locale. Prevaleva, quindi, un tipo di valutazione che si poneva all’esterno e acquistava un tono eccessivamente moralistico. Quasi tutte le descrizioni sottolinearono le varie difficoltà sociali del paese come, per esempio, la miseria, la povertà, la fame e l’analfabetismo. Tutti situazioni queste, che apparivano come il retaggio di un lungo processo storico da dover censurare a tutti i costi. Non potevano passare inosservate le cause di questa triste situazione: l’ignoranza, la delinquenza, l’usura, la bestemmia, la bigotteria, i pregiudizi, la superstizione, gli schemi e le convenzioni sociali. Molti di questi elementi, inoltre, contribuirono a contraddistinguere una certa rijsanità. Ai primi pastori, infatti, i rijsani apparvero individui dal carattere espansivo, franco, schietto e amante di verità, pronti a non tollerare qualsiasi tipo di sotterfugio o scappatoia. Fosse anche una condanna, infatti, essi ammettevano la verità e si mostravano disposti anche a rassegnarsi di fronte all’inesorabilità di certi eventi e situazioni. La scrupolosità e la calorosità che ne derivavano erano tali da indurli anche a morire, pur di prestar fede ad una parola data. Ma guai ad ingannarli, poiché divenivano violenti e vendicativi tanto quanto erano stati fedeli. Quest’indole, confusa con un falso punto dell’onore derivante dallo spirito mafioso e da quel modo d’essere peculiare agli abitanti dei paesi minerari, trasformò poi i rijsani in individui saputelli, presuntuosi, testardi e arroganti. Non a caso, spesso era possibile riscontrare una loro dignitosa fierezza, pronta a sfociare all’irriflessione e allo sragionamento. Erano state proprio queste condizioni socio-culturali a demoralizzare e scoraggiare i pastori Rostagno e Teofilo Malan, al punto tale da indurli a lasciare il paese. Le varie relazioni pastorali, inoltre, facevano notare l’incoerenza che predominava nella società, dai ceti benpensanti a quelli meno abbienti. Non a caso, in diversi resoconti si trovano parole di biasimo e di polemica sul comportamento tanto delle masse popolari quanto del ceto liberale. A quest’ultimo, in particolare, era rimproverato di essersi alienato dalla comunità, dopo aver insistentemente incoraggiato e sostenuto la venuta dei valdesi a Riesi. All’uopo, leggiamo in una relazione: “Se i firmatari della petizione mandata all’evangelista di Messina, fossero stati amanti del Vangelo, a quest’ora avremmo una graziosa Chiesa, ma siccome erano quasi tutti atei o liberi pensatori e volevano adoperare un mezzo santo per i loro fini mondani e per la soddisfazione del loro spirito di vendetta ci troviamo un poco incagliati nell’opera nostra.” (AVTP, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1874-1875). La maggior parte dei liberali era solita dire: “lasciate perdere quelle cose di chiesa e di religione, son tutte imposture e mezzo di mangiare.” (AVTP, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1874-1875). Non privo di contraddizioni fu il popolo. Questo si fece facilmente trascinare dagli avvenimenti e dagli spiriti più colti. Un tipico esempio di tutto ciò furono gli eventi connessi alle consultazioni amministrative del 1876. In quell’anno, molti aderenti dei ceti popolari, si distaccarono per qualche tempo dalla Chiesa, seguendo l’esempio di alcuni benpensanti del ceto liberale. Quest’ultimi, a loro volta, si allontanarono dalla comunità perché ritennero i valdesi responsabili della loro sconfitta nelle consultazioni comunali. La neonata comunità di Riesi fu così lasciata in balia di se stessa e alla mercè della nuova Amministrazione conservatrice e antivaldese. “Il partito clericale, trionfante ora nell’amministrazione del Comune, vedendo di malocchio il pacifico progredire dell’opera evangelica cercò di rovinarla eccitando la popolazione riesina contro i nostri fratelli.  Il giorno 4 aprile scorso sarebbe potuto tornare fatale agli evangelici (…). I rimproveri e le minacce di due frati predicatori, riuscirono ad allontanare dalle adunanze alcuni nostri aderenti e a far si che non pochi abbandonassero la scuola evangelica.” (AVTP, Il Consiglio di Chiesa, Relazione dell’Anno Ecclesiastico 1875-1876). Dopo alcuni anni di crisi, senza necessitare di un qualche aiuto politico, finalmente la comunità si riprese dalle difficoltà in cui era precipitata. Tutto questo avvenne in sintonia con l’affermarsi di quel fenomeno che da un lato vide tramontare il vecchio filantropismo borbonico e dall’altro cedette gradualmente il passo al calcolo razionale e ai valori dell’Evangelo. Due elementi questi, che permisero agli evangelici di aumentare sempre più la stima e la simpatia dei ceti popolari. Nonostante l’allontanamento dei notabili liberali, dunque, grazie al notevole esempio d’insistenza dato dai pochi aderenti rimasti fedeli, la comunità superò ogni problema, riuscendo a far sì che gli elementi fuoriusciti ritornassero nella Chiesa. Cosa che rispettivamente avvenne tra il 1878 e il 1881. Le relazioni annue del periodo da un lato presentarono i lati negativi della società rijsana come un’espressione della sub-cultura cattolica e dall’altro descrissero i pregi e gli aspetti positivi della realtà locale come conseguenze della predicazione evangelica. I vari pastori, infatti, posero ad un tempo il valdismo come l’elemento propulsore e trainante per una evangelizzazione in senso anticattolico e per un’acculturazione della povera gente di Riesi. Dando, però, uno sguardo alla realtà del paese, ci si rende subito conto che quei pregi e aspetti segnalati dai pastori come valori positivi (senso dell’ospitalità, laboriosità, senso della famiglia e perseveranza per le proprie convinzioni e credenze) non potevano essere collegati solo alla predicazione valdese. Essi facevano parte di quei connotati, per così dire, originali della popolazione siciliana e meridionale in genere. Altre, infatti, erano le nuove connotazioni. Uno di questi era il forte zelo di alcuni aderenti, pronto ad indurre gli evangelici a parlare insistentemente di cose di chiesa ovunque essi si trovassero, persino sul posto di lavoro. Fu questo il caso degli evangelici zolfatari che in un primo momento attirarono la curiosità e successivamente la simpatia di numerosi loro compagni di lavoro dei paesi circonvicini. L’acculturazione di cui parlarono i pastori nelle loro Relazioni si riferiva all’operato delle scuole evangeliche. Subito dopo il loro arrivo a Riesi, infatti, i valdesi istituirono delle classi di scuola materna ed elementare. Queste, nel giro di pochissimo tempo, conquistarono simpatie in più parti. Esse furono stimate per le varie e valide metodiche d’insegnamento d’avanguardia filo-froebeliane, al punto da indurre buona parte della popolazione, compresa quella cattolica, a preferirle a quelle comunali, controllate dai preti e ancora fortemente legate alle tradizionali metodiche e didattiche pedagogiche repressive.

 

5-I Valdesi e il Fascio dei Lavoratori

Una delle vicende più espressive della storia siciliana di fine Ottocento furono le violente insurrezioni popolari dei Fasci dei Lavoratori (1893-94). Questi fatti, sebbene con una loro ben precisa peculiarità, condizionarono e influenzarono la società rijsana in ogni aspetto. Anche la comunità valdese non si sottrasse all’ingerenza. Nonostante i suoi formali propositi rivoluzionari e socialisteggianti, il Fascio dei Lavoratori di Riesi si contraddistinse dagli altri Fasci Siciliani. Sin dalle origini, infatti, l’organizzazione operaia rijsana evidenziò tutta la sua peculiarità antisovversiva. Non a caso, proprio per il suo esclusivo atteggiamento propagandistico-elettorale, il Comitato Regionale dei Fasci bandì l’organizzazione rijsana, sconfessandola e dichiarandola spuria. Tutto ciò, in ogni modo, non escluse che il Fascio di Riesi rimaneva pur sempre un’associazione politica molto vicina agli operai e ai contadini. Del resto, attraverso un’analisi dell’elenco dei componenti il Fascio, si può facilmente notare come i suoi vari esponenti provennero da quella realtà proletaria e sub-proletaria che il socialismo rivoluzionario pose al centro di tutto. Nella Riesi di fine Ottocento, comunque, il Fascio dei Lavoratori non costituì l’unico momento d’aggregazione fra gli operai e i contadini. Già da qualche tempo, infatti, in paese pullulavano varie associazioni politiche di stampo socialista, le cosiddette Società Operaie per il Mutuo Soccorso. Alla loro costituzione avevano dato un contributo determinante tanto gli eventi politici quanto le condizioni dei ceti popolari. E, poiché molti elementi appartenenti a queste associazioni contemporaneamente simpatizzarono per il valdismo, diviene piuttosto ovvio e interessante uno studio dei rapporti che intercorsero tra il movimento valdese e quello operaio. Come s’è visto, all’indomani della vittoria elettorale del partito clericale locale (1876), la comunità evangelica rijsana aveva vissuto momenti particolarmente difficili. I protestanti, tuttavia, erano riusciti a superarli. Resisi conto di non poter più fare affidamento sulla classe liberale locale e compresa la necessità di trovare in loro stessi le forze morali necessarie per riuscire ad avere la meglio, infatti, avevano intensificato il ruolo della predicazione. In questo modo e, nell’arco di qualche anno, erano riusciti a riconquistare gli entusiasmi delle masse, il prestigio e la centralità degli ultimi mesi del 1871. Non a caso, da quanto si evince dalle Relazioni pastorali degli anni Ottanta, il numero dei proseliti registrò un forte aumento. Le simpatie che la comunità evangelica incontrava nel proletariato erano varie. Esse possono essere ricondotte a tre fattori: primo, all’anticlericalismo viscerale; secondo, alla validità delle scuole evangeliche; e, terzo, all’esistenza di due associazioni laico-religiose come l’Unione Cristiana (maschile) e la Perseveranza (femminile), per il soccorso e l’aiuto dei malati e dei poveri. In un certo qual senso, il movimento valdese con le sue varie opere sociali divenne la concretizzazione di tutte quelle belle parole propagandate dalle varie associazioni per il Mutuo Soccorso. Fuggendo alla retorica delle Società Operaie e del Fascio dei Lavoratori, infatti, la Chiesa Valdese di Riesi riuscì parzialmente a soddisfare le esigenze pratiche e morali dei lavoratori. L’atteggiamento che gli evangelici ebbero nei confronti delle associazioni operaie fu di duplice natura: di ripulsa e di adesione. Diversi operai e contadini evangelici preferirono allontanarsi dalle Società Operaie, per via della brutta fama che queste godevano. Tali associazioni, infatti, erano guardate con ostilità dalle autorità, sia per le loro idee socialiste e soprattutto perché erano state costituite ed erano dirette dai più facinorosi, rissosi e violenti soggetti del paese, dediti a varie illegalità. Insomma, perché erano controllate da tutti quei poco di buono che le autorità di Pubblica Sicurezza avevano giustamente schedato come mafiosi. ASCL, Atti di Pubblica Sicurezza: fascicolo 11 (Società ed associazioni politiche in Riesi e Sommatino 1882-1896) e fascicolo 66 (Riesi. Pratiche riservate 1883-1891). Tutto questo spiegherebbe come mai, nel periodo compreso tra il 1876 e il 1896, solo pochi contadini e solfatari iscritti negli elenchi del Registro Generale dei Membri Comunicanti aderirono a quelle Società (ACVR, Registro Generale dei Membri Comunicanti 1875-1980): sette nella Società Archimede per il Mutuo Soccorso fra gli Zolfatai, tre nel Circolo Zolfatai Umberto I°, uno nel Circolo Unione e Libertà, sette nel Fascio dei Lavoratori e tre nella Società Agricola Progressista. Quanti, invece, siano stati gli evangelici appartenenti alla Società Bixio e alla Società Antonio Maffi rimane una questione insolubile. Tanto i dati desunti dagli Atti di Pubblica Sicurezza dell’Archivio di Stato di Caltanissetta quanto quelli ricavati dagli archivi valdesi, infatti, non sono sufficienti per tracciare un quadro ben preciso della situazione. Non tutti coloro che si dichiararono evangelici si allontanarono dalle suddette associazioni, giacché le considerarono i soli ed unici strumenti di lotta politica. Perché allora, da un confronto tra il Registro Generale dei Membri Comunicanti e gli elenchi delle varie associazioni politiche censite dalle autorità, il numero dei valdesi è basso? Nel rispondere a quest’interrogativo si deve tenere presente la seguente considerazione: il numero degli operai e contadini che si dichiararono valdesi in occasione dei vari censimenti del Regno d’Italia fu di gran lunga superiore a quello risultante dagli elenchi dei registri di Chiesa. Non tutti coloro che si dichiararono evangelici, infatti, furono realmente Membri Comunicanti. La stragrande maggioranza di loro formò quel folto numero di Uditori Occasionali, i cui nominativi non furono annotati in nessun registro di Chiesa. Piena testimonianza di tutto ciò sono le famose Schede Statistiche che i pastori compilavano e inviavano alla Tavola Valdese alla fine dell’anno ecclesiastico. (AVTP, Schede Statistiche) Da quest’ultime, infatti, risulta palese l’alto numero di quanti intervenivano occasionalmente ai culti e il basso numero dei Membri Comunicanti. In definitiva, dunque, i rapporti che intercorsero tra Chiesa Valdese e le Società Operaie furono positivi. Per meglio avere un’idea di tutto ciò, basta dare uno sguardo ad un documento d’estrema importanza rinvenuto nell’Archivio di Torre Pellice, con il quale operai rijsani chiesero alla Commissione d’Evangelizzazione l’istituzione di nuove scuole evangeliche. A prescindere da tutte queste considerazioni, in ogni caso, si può affermare che motivi prettamente interiori e spirituali spinsero operai e contadini ad aderire all’Evangelo.  

“Il solfaraio è credente e cattolico, ma non ha sentimento religioso vivo e nelle feste religiose egli cerca non un conforto per l’anima, ma una ricreazione e un divertimento (…).  Frequenta poco la Chiesa; è facile ad abbracciare religione diversa da quello in cui fu educato giovinetto (…); se il solfaraio passa dalla religione cattolica alla evangelica (…), non è perché a lui manchi la religiosità, ma forse perché egli sente il bisogno di una religione, che ne appaghi un poco lo spirito; e noi abbiamo osservato e saputo che i solfatai evangelici in generale si mostrano buoni  fratelli.” (Baglio Gaetano, Il solfaraio, Napoli, Luigi Pierro editore, 1905 (nuova edizione a cura dell’Amministrazione Comunale di Riesi, 1990, p. 423). Tra movimento valdese e movimento operaio, dunque, vi furono diversi momenti di sodalizio, in parte dovuti alle esigenze di rinnovamento sociale e spirituale e in parte alle dure ostilità e opposizioni che tanto il primo quanto il secondo nutrirono nei confronti dei clericali, ritenuti portatori di un’errata e aberrante mentalità conservatrice.

 

6-La fine del secolo  

L’andamento della comunità valdese di fine Ottocento non venne condizionato solo dal fermento rivoluzionario dei Fasci. Con esso, infatti, si verificarono altri due particolari fatti: primo, la nascita della dissidente Chiesa Libera, nel 1895; e, secondo, l’acquisto di alcuni locali del Palazzo Faraci, nel 1898.  Intorno alla prima metà dell’Ottocento, sotto l’influsso del movimento religioso del Risveglio, dalla doppia impronta inglese e svizzera, anche in Italia si era delineato un movimento evangelico fortemente influenzato dall’ardente clima patriottico-risorgimentale e dalle grandi speranze suscitate dalla politica riformista del pontefice Pio IX. Ben presto, però, il fallimento dei vari moti quarantotteschi e il relativo ripristino della politica reazionaria dell’Ancièn Règime ridimensionò gli entusiasmi, dividendo l’Evangelismo risorgimentale in due correnti: una composta da un ristretto numero di protestanti rimasti fedeli al valdismo tradizionale e una costituita dal più folto gruppo d’evangelici che diedero vita alle famose Chiese Cristiane Libere. In queste nuove comunità vi confluirono quegli protestanti che vollero distaccarsi da posizioni considerate, sotto diversi punti di vista, troppo schematiche. Questa loro convinzione certamente provenne dalla rigorosa disciplina di stampo presbiteriano, pronta a limitare il ministero della Parola ad un ristretto corpo pastorale formatosi attraverso studi Accademici, peculiare al valdismo tradizionale. Nel 1895, Saverio Fera, segretario del Comitato di Evangelizzazione della Chiesa Evangelica Italiana (cioè della Chiesa Libera), contando sulle connessioni massoniche palermitane, provocò delle secessioni in alcune comunità valdesi dell’Isola. Tra queste, andava annoverata anche quella di Riesi. Nel luglio del 1895 “all’insaputa dell’evangelista e del Consiglio di Chiesa, un gruppo di malcontenti, cioè Gaetano D’Anna, Stefano Matera, e le tre sorelle Giammona e Calogero Scimone, capitanati da Salvatore Ferro, si rivolgeva al Comitato d’Evangelizzazione della Chiesa Libera, perché si acquistasse una Chiesa Libera.” (AVTP, Ronzone Giuseppe, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1895-1896). Qualche settimana dopo, il Comitato d’Evangelizzazione della Chiesa Libera accettò la richiesta e inviò a Riesi un maestro elementare, al fine di istituire nuove scuole evangeliche alternative a quelle comunali o cattoliche e a quelle valdesi. Il 1° settembre 1895, i Membri della nuova comunità evangelica ufficializzarono la loro posizione al Consiglio della Chiesa Valdese di Riesi. A partire da questo momento, i rapporti fra valdesi e liberi divennero particolarmente tesi. Da tutta questa situazione cercarono ovviamente di trarne i maggiori vantaggi i preti. All’uopo, alcuni di loro, capitanati dal canonico Calabrò, riaccesero antiche dispute religiose, nella speranza di allontanare i vari simpatizzanti dall’Evangelo e di riconquistare al cattolicesimo qualche evangelico. “(…) il canonico Calabrò ne approfittò per esempio per minacciare quelle famiglie cattoliche che mandavano i loro figli nelle nostre scuole, pena la scomunica.” (AVTP, Ronzone Giuseppe, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1895-1896). Nell’anno ecclesiastico 1896-1897 alcuni dissidenti, pentitisi del loro agire, chiesero e ottennero dal Consiglio di Chiesa di essere riammessi nella comunità valdese. Tutto questo fu indubbiamente la più evidente e palese espressione delle dure difficoltà che la Chiesa Libera incontrò a Riesi. Queste complicazioni, addirittura, nel giro di pochi anni, si acuirono a tal punto da determinare la chiusura dello stesso locale di culto dissidente. Cosicchè, tra il 1897 e il 1898 “quasi tutto il resto dei fuoriusciti del 1895, fecero ritorno ai riti, pentiti d’aver abbandonato la chiesa che li aveva istruiti nella verità a disillusione di quanto era stato loro fatto vedere attraverso prismi seducenti. Dei 16 che ci avevano abbandonato, solo 6 sono rimasti fuori.” (AVTP, Ronzone Giuseppe, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1897-1898). Molto indicative e complesse furono le cause che favorirono tanto l’apertura quanto la chiusura della Chiesa Libera a Riesi. Tra le cause che ne avevano sostenuto l’istituzione ne spiccarono due: innanzitutto, era del tutto logico e naturale che, in un paese di forte tradizione evangelica, ci fossero soggetti attratti dal nuovo credo evangelico, non importa se per profonda cognizione di causa o per pura curiosità; e, in secondo luogo, da comune ad economia prevalentemente solfifera e con un alto numero di proletari, era del tutto scontato che Riesi fosse un terreno particolarmente fertile alla diffusione di certe idee politiche e religiose vicine alla Sinistra e alla Chiesa Libera. Infatti, in contrapposizione ai valdesi che ostentarono un’apparente lealismo sabaudo, molti Liberi provennero dalle file della Sinistra rivoluzionaria. Per quanto riguarda il suo tracollo, invece, esso andava visto nel quadro del sistema fallimentare che contrassegnò il volto dell’intera Chiesa Libera Italiana tra il 1895 e il 1904. Insuccesso questo, favorito tanto dalla mancanza di coerenza ed unità fra i vari esponenti quanto dal crollo politico della Sinistra. L’altro grande evento che interessò la comunità rijsana di fine secolo fu l’acquisto di alcuni vani del Palazzo Faraci. Il problema dell’acquisto di alcuni locali da destinare al culto e all’insegnamento scolastico risaliva al 1871. I primi pastori arrivati in paese avevano più volte segnalato alla Commissione d’Evangelizzazione la necessità di dovere acquistare dei locali. Questa problematica, sempre discussa e mai affrontata in maniera decisiva, fu ripresa con toni molto decisi a risolverla tra il 1896 e il 1897. Nel luglio del 1897 il Consiglio di Chiesa inviò alla Commissione d’Evangelizzazione una lettera, con la quale fu sollecitato l’acquisto dei locali tanto desiderati. Il nuovo Tempio  venne solennemente inaugurato il 5 luglio 1898. L’avviamento della Chiesa Valdese in alcuni locali del Palazzo Faraci, essendo avvenuta dopo una lunga serie di tragici eventi (le dure dispute religiose, le aspre lotte politiche, lo Stato d’Assedio del 1894 e l’apertura di una Chiesa Libera), segnò praticamente una svolta nella storia dell’Evangelismo rijsano. Animati d’entusiasmo, coraggio e speranza, gli evangelici di Riesi riacquistarono un’enorme fiducia per l’avvenire della comunità. Leggiamo, infatti, in una Relazione del pastore Ronzone: “L’apertura del Tempio dovuta alla generosità del sempre compianto sig. Muston e al vivo interesse preso dall’on. Comitato e dal nostro ottimo capo-distretto, mi fece sperare che l’opera sarebbe stata più produttiva che per il passato.” (AVTP, Ronzone Giuseppe, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1897-1898). L’evento venne ovviamente stigmatizzato dal Clero cattolico. I preti, infatti, si resero subito conto del fatto che la proprietà di quei locali da un lato segnava il definitivo insediamento e consolidamento protestante in paese e dall’altro sgombrava definitivamente la mente a tutti quei poveri illusi che continuavano a sperare in un ormai improbabile fallimento dell’opera valdese.

 

7-I Valdesi nei primi anni del Novecento e il pastore Giuseppe Ronzone

 Anche tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento l’andamento della comunità valdese rijsana fu influenzato da vicissitudini politiche e socio-culturali. Dopo i tragici avvenimenti del 1894, il potere politico-amministrativo si era accentrato nelle mani dei clericali. Questa dominio, nei primissimi anni del Novecento, si rafforzò ulteriormente senza essere minimamente scalfito dal grave scandalo che coinvolse il sindaco conservatore con una banda di falsari in un processo per associazione a delinquere. Lo scandalo, addirittura, passò così inosservato da permettere ad un altro esponente del partito dei Cappedda di conquistare la guida dell’Amministrazione Comunale. Il trionfo elettorale dei conservatori venne ora favorito dal sostegno dei liberali di Destra. Quest’ultimi, dopo la caduta dell’Amministrazione Jannì (1876) e il relativo avvento al potere della Sinistra, ritennero machiavellicamente opportuno fronteggiare l’opposizione filo-crispina in modi assai discutibili. Pertanto, il nuovo sindaco fu espressione di un autentico accordo elettorale. Per questo, l’Amministrazione non ebbe una vera e propria solidità e si vide continuamente costretta a dover fronteggiare tanti oppositori interni. Il sindaco, però, ben presto passò all’offensiva. Cercando di combattere quelle coalizioni avversari che si stavano formando contro la propria Giunta, non esitò minimamente ad allearsi con l’opposizione. La nuova Amministrazione Comunale, nata dall’alleanza delle due opposizioni, condizionò gli eventi rijsani degli anni successivi. Il periodo di tempo compreso fra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, dunque, si presentò politicamente incerto e caratterizzato da significative degenerazioni  etico-morali. Ne

furono piena testimonianza l’abbrutimento degli usi e dei costumi, l’immoralità e l’opportunismo clericale. Ancora una volta, infatti, i preti cercarono di sfruttare a proprio vantaggio il momento di grande difficoltà, ponendosi assurdamente come soli ed unici interlocutori delle masse. La comunità valdese riuscì a superare ogni problematica, grazie all’evangelista Giuseppe Ronzone. “Fu uno dei pastori protestanti che si distinse per la sua bontà d’animo e la sua abnegazione verso il prossimo e verso la Chiesa ove predicò il suo culto. Affabile con tutti, specie con i fanciulli che frequentavano le cinque classi elementari valdesi da lui dirette, per il numero degli scolari ebbe a gareggiare in quei tempi con quelle comunali. Nacque a Milano il 6 ottobre 1833 da Antonino e Maria Mazzani. All’età di 15 anni, spinto dall’amor di patria, fece parte delle barricate delle Cinque Giornate di Milano del 1848 contro gli austriaci. In seguito intraprese la carriera militare e si congedò con grado di Colonnello dell’Esercito. Quale pastore protestante fu destinato a Riesi due volte e cioè dal 3 novembre 1890 al 24 dicembre 1903 e poi dal 12 aprile 1904 al 30 luglio 1906 data della sua morte. Durante il suo pastorato, la chiesa ebbe un gran numero di fedeli, ai quali il giovedì e la domenica di ogni settimana predicava il Vangelo. Senza alcuna remunerazione nelle sue ore libere impartiva a molti giovani, d’ambo i sessi, lezioni fino a far loro conseguire il diploma d’insegnante. Sorvegliava tutti i bambini che frequentavano la scuola valdese e, nell’ora della ricreazione, si vedeva sempre in mezzo a loro nel cortile dell’edificio a scherzare con il sorriso sempre sulla labbra. Era di corporatura un po’ robusta, soleva tenere la barba e i capelli lunghi e il copricapo alla garibaldina. Vestiva sempre con abiti di colore nero, come nero era pure il suo immancabile frak che soleva indossare; portava il colletto bianco alto ed inamidato che metteva in risalto la sua personalità e che lo additava come missionario religioso facente parte della comunità evangelica. Aiutò con i suoi mezzi disponibili poveri ed afflitti appartenenti o no alla sua religione La morte lo colse all’improvviso mentre passeggiava sul marciapiede davanti al portone della sua chiesa da lui tanto prediletta ed amata, lasciando un profondo dolore in tutto il popolo riesino.”(Butera Luigi, Uomini fatti e aneddoti nella storia di Riesi nella prima metà del Novecento, Caltanissetta, 1983, pp. 46-47). Per avere una più diretta idea dello spessore di questo personaggio, in ogni modo, diamo uno sguardo alle Relazioni pastorali relative agli anni ecclesiastici 1900-1901, 1901-1902 e 1902-1903. Le tre Relazioni sono importanti documenti che consentono di tracciare anche un ampio profilo delle condizioni sociali e culturali del paese. Tutte e tre, infatti, prima di parlare della situazione ecclesiastica della comunità, esordiscono con una descrizione dell’ambiente locale. Da quanto emerge dalle Relazioni, i preti approfittarono del fatto che Riesi era amministrata dal partito conservatore per conquistare le masse. “I preti che naturalmente si sono accorti che van perdendo terreno, tentarono (…) con ogni mezzo di contenere i loro gregari: resero più splendide le loro feste; sollecitarono il concorso delle autorità e dei notabili del paese; ma il fatto è che se il popolo accorse alle luminarie e ai fuochi pirotecnici non fu certo per sentimento religioso, ma per il divertimento dello spettacolo. Se sindaco, giunta, consiglieri e magnati, figurano (cosa nuova in Riesi) nella processione del giovedì santo, fu per opportunismo dell’oggi, poiché nella gran maggioranza son miscredenti o atei (…). I preti tentarono di suscitare il fanatismo nel popolo sguinzagliando i ragazzi delle scuole comunali contro il nostro istituto (…), ma nessuno del popolo si mosse; quasi tutti vituperarono l’atto villano. Però né autorità né sindaco si mossero. oll’affare del giubileo, i preti cercarono di promuovere un risveglio religioso e per spronare le masse, fecero circolare l’interessante notizia che chi non avesse fatto le 15 visite nelle chiese, le avrebbe dovuto fare quadruplicate all’altro mondo.” (AVTP, Ronzone Giuseppe, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1900-1901). Nella stessa Relazione, il Ronzone non risparmiò toni polemici verso l’indifferenza religiosa di gran parte della popolazione, pronta a schierarsi con i preti o con gli evangelici, secondo le circostanze. “Mi è  accaduto varie volte  di trovarmi  in compagnia  di gente colta e abbordato il soggetto religione sentirmi dire: per carità parli di tutt’altro, le religioni qualunque siano, sono cose vecchie e fuori di moda; la scienza ha ormai dimostrato che Dio e tutto il resto sono cose impossibili. Mi sono trovato con contadini e zolfatai che non solo mi lasciano parlare, ma approvano ogni cosa. Il risultato però fu di sentirmi dire: Ella ha ragione ma l’Evangelismo non riempie la pancia.  Che altro rimane a fare se non che pregare e domandare al Signore fede, pazienza e perseveranza?” (AVTP, Ronzone Giuseppe, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1900-1901). Nella relazione dell’anno ecclesiastico successivo, invece, il pastore sottolineò le dure difficoltà che spesso impedivano una libera diffusione dell’Evangelo:  “l’indifferismo religioso; l’incredulità del ceto civile che purtroppo va allargandosi fra le masse; l’immoralità, l’usura e la bestemmia predominante in tutte le classi; la guerra dichiarata contro Dio ed ogni credenza, pure la Chiesa è rimasta (…) fedele alla parola dell’Evangelo, resistente alla corrente inquinata che sempre più avanza e invade le menti e i cuori di questo illuso popolo. A prima vista sembrerebbe dover essere facile il lavoro missionario non essendo l’Evangelo apertamente combattuto e nulla ostacola la libertà di parola, di coscienza e di culto, e qui essendo gli evangelici tenuti in buon conto dalle autorità e dalla popolazione, le nostre scuole ben frequentate e divenute popolari. (…). Ma non si va più in là. (…) si dichiara che l’Evangelismo è migliore del cattolicesimo, ma se si dice a tali amici: Perché non vi fate evangelici?, la risposta è: E’ troppo difficile l’osservare i suoi comandamenti. Altri soggiungono: Che serve? voi o i preti è sempre l’istessa cosa. La gente che sa e ha studiato dice che le vostre son tutte invenzioni. Così il lavoro è reso difficile, e per questo la predicazione sia semplice e alla portata di tutti, pochi sono i frutti e la maggior parte della semente non cade che sui sassi o fra le spine o sulla via.” (AVTP, Ronzone Giuseppe, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1901-1902). Nella Relazione del 1903, infine, Ronzone, dopo aver parlato dei neofiti di alcuni paesi circonvicini (Mazzarino, Barrafranca, Aidone, Sommatino, Niscemi e Piazza Armerina), descrisse i grandi mali della società ove operò. “Le medesime difficoltà che furono fatte note nella Relazione annua dell’anno scorso, non solo non furono svanite ma si sono pure accentuate. La propaganda della negazione di Dio ha invaso ogni ceto della popolazione e benchè apparentemente le masse sembrano mantenersi cucite alla tonaca del prete in realtà però altro non è che effetto di consuetudine. Nessuno, tranne le donne, si confessa, né compie il precetto, tanto che in una popolazione di 15.000 anime si confessano a Pasqua. Venne il quaresimalista e lasciò il tempo che aveva trovato. L’immoralità dall’alto al basso è generale, al che contribuisce non poco la promiscuità forzata della arretratezza delle popolazioni del basso popolo: contadini e zolfatai. Dovendo i componenti la famiglia, vivere e dormire in una sola camera insieme agli animali domestici di ogni specie. L’ubriachezza è predominante in tutti come la più spacciata usura del 50-60 e 80 per cento. E’ quindi il nostro un campo assai triste e difficile e molto dobbiamo ringraziare il Signore se la Chiesa si mantiene immune da tanto abbrutimento e se in mezzo a così serie difficoltà si possa attrarre alcune anime all’Evangelo e convertirle. Ci gode l’animo di poter dire che nella quasi totalità i fratelli e le sorelle non hanno dato nulla a che dire sulla loro vita pubblica e privata, tanto che le autorità non una sola volta ma parecchie hanno affermato che se la popolazione fosse composta da evangelici non vi sarebbe bisogno né di carabinieri ne di carcerieri. Non una rissa non una querela, non una ubriacatura (…): ciascuno attende ai propri affari e vive contento di ciò che il Signore loro concede.” (AVTP, Ronzone Giuseppe, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1901-1902). La fama e la notorietà del pastore Ronzone si affermarono autorevolmente, sia per l’abilità messa in campo nella lotta al malcostume e all’immoralità, sia per il suo zelante e ammirevole spirito evangelico e missionario. La sua lodevole reputazione si diffuse anche fuori Riesi. E questo, grazie ad un piccolo periodico religioso-educativo, da lui stesso diretto e fondato, La Riesi Evangelica. Questo giornalino, pubblicato per la prima volta nel gennaio del 1900, fu propagandato e venduto in diverse comunità protestanti dell’Isola. La sola comunità valdese di Grotte, per esempio, sottoscrisse ben 70 abbonamenti. Come si può costatare da un articolo comparso sul Bollettino della Missione Evangelica del periodo, il periodico valdese rijsano non ebbe, come spesso accadeva a vari giornalini protestanti, un carattere separatista e dissociativo. “Non siamo separatisti, ma è facile a comprendere come le nostre chiese di Sicilia possano avere degli interessi particolari a trattare, delle notizie, dei consigli, degli incoraggiamenti  da  scambiarsi,  dei   progetti   da   discutere ed altre simili cose che pubblicate sull’Italia Evangelica o sul Bollettino lascerebbero più o meno indifferenti i lettori delle altre regioni d’Italia, mentre sono di grande momento pei soli evangelici di Sicilia.” (AVTP, Bollettino della Missione Evangelica Valdese, La Riesi Evangelica, gennaio 1901).

 

8-La comunità valdese durante l’età giolittiana

Le vicende politiche italiane del primo quindicennio del Novecento influenzarono la vita amministrativa di Riesi e quella della sua comunità valdese. Il centro nisseno, come l’intera Sicilia, fu indifferente alle trasformazioni dell’età giolittiana e vide vanificare tutti gli sforzi riformisti. Alle classi dirigenti locali non piacquero i progetti governativi che miravano a stroncare l’analfabetismo delle plebi, ad allargare e migliorare la legislazione sociale, a modernizzare l’agricoltura e a combattere la mafia, i brogli e la corruzione. Esse, infatti, furono interessate al mantenimento dello status quo, cioè  all’integrità dei latifondi, ai tradizionali e arcaici rapporti di lavoro con braccianti e solfatari e allo strapotere socio-economico e amministrativo. Nel 1910, dopo vari cambiamenti di guardia, il partito conservatore conquistò la guida dell’Amministrazione Comunale. Il suo strapotere fu messo in crisi tre anni dopo, dall’entrata in vigore della riforma sul suffragio universale elettorale, quella che praticamente concesse il diritto di voto a tutti i cittadini maschi italiani. Le elezioni comunali del 1914, grazie alla nuova legge, sancirono la disfatta dei conservatori e l’avvento al potere dei popolar-progressisti, coadiuvati da nuove forze di Sinistra. Tale successo fu uno degli episodi politici più singolari dell’intero quadro amministrativo siciliano. Questo perché, le tormentose vicende politiche, si sovrapposero alle gravi crisi economiche. Tutti questi eventi, come s’accennava, incisero significativamente sull’andamento della comunità valdese. A consentire un simile giudizio sono certamente i documenti dell’Archivio Valdese di Torre Pellice. Da quello che emerge da quest’ultimo, nel periodo giolittiano, la comunità valdese di Riesi fu retta da quattro autorevoli evangelisti: Giuseppe Ronzone, Giovanni Bertinat, Enrico Tron e Vittorio Trobia. Il quadro della comunità e del paese che si ricava dalle descrizioni di questi quattro pastori è univoco. Tuttavia, ognuno di loro, descrisse perfettamente i momenti di oscillazione della comunità. Quest’ultima risentì i contraccolpi delle crisi minerarie in corso e dello scoppio di tre violente epidemie che, tra il 1906 e il 1913, decimarono intere famiglie del paese: il vaiolo, il colera e la malaria. A quanto pare, la comunità valdese fu particolarmente provata dall’epidemia vaiolosa. Gli evangelici, infatti, dopo essersi visti dichiarati inagibili a tempo indeterminato i locali delle proprie scuole e a sospendere per motivi igienico-sanitari le varie attività, rischiarono di dover chiudere anche la Chiesa. Questo pericolo sicuramente dipese dal sentimento di ostilità nutrito dal Clero e da tutti i suoi accoliti. Approfittando dello scoppio dell’epidemia, infatti, alcuni preti e diversi esponenti del partito clericale cercarono di far passare il Tempio valdese come un luogo d’aggregazione per i soggetti più a rischio del paese o, addirittura, già colpiti dal morbo. “Alcuni cattolici reazionari e contrari all’opera nostra, cercarono se fosse stato possibile di far chiudere il Tempio. Ma il pastore fece sapere che quando i preti avessero chiuso le loro chiese, lui avrebbe chiuso la sua, altrimenti no. Sottomano cercarono anche che le autorità adibissero i locali dell’istituto per il ricovero delle famiglie dei vaiolosi. Ma il pastore senza perdita di tempo, scrisse al sindaco una lettera mostrando l’atto inconsulto che si voleva compiere, e il danno fatale che ne sarebbe venuta all’opera nostra. Anche parecchi fratelli fecero pubbliche dimostranze a proposito, predisponendo le autorità in nostro favore. Approfittando dell’assenza del sindaco si era lavorato alla chetichella presso l’autorità prefettizia, per ottenere l’ordinanza di possesso dell’istituto. Ma Dio predispose che il sindaco ritornasse in tempo per prender nota della lettera del pastore, e udire i reclami dei fratelli; ordinò che si cercasse un’altra località per l’uso di ricovero. E il medesimo giorno fu rimediato al caso, di maniera che quando all’indomani arrivò l’ordinanza prefettizia di consegnare l’istituto già le famiglie dei vaiolosi, si trovavano ricoverate altrove. Un plauso ed un ringraziamento al sindaco liberale.” (AVTP, Ronzone Giuseppe, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1905-1906). Nei due anni che seguirono, in seguito all’improvvisa scomparsa del pastore Ronzone, la comunità fu retta provvisoriamente dall’evangelista Giovanni Bertinat. Sotto la sua guida non si registrarono episodi particolarmente clamorosi. La calma e la tranquillità sembrarono avere la meglio. Questa complessa situazione coincise con il periodo conseguente al Commissariamento del Consiglio Comunale (1907), quando in pratica cominciarono a scemare le dure prese di posizione antivaldesi dei clericali. La comunità visse nuovi tragici momenti tra il 1908 e il 1913, quando risentì gli effetti di due nuove epidemie: il colera e la malaria. I due nuovi morbi decimarono buona parte della popolazione evangelica. Colera e malaria, trovando un terreno particolarmente fertile nelle deplorevoli condizioni delle abitazioni dei vari braccianti e solfatari, non risparmiarono individui di indubbia provenienza proletaria e sottoproletaria, quali appunto erano molti valdesi. Le due nuove epidemie e i vari conflitti politici locali aggravarono le dure condizioni di vita dei ceti meno abbienti e alimentarono l’odio popolare, compreso quello di diversi evangelici radicali, contro i ceti dirigenti e benpensanti, ritenuti responsabili del malessere sociale. In altri termini, rafforzarono una serie di convincimenti di protesta che vantaggiarono l’opposizione popolar-progressista. Tali circostanze, inoltre, favorirono un riavvicinamento del popolo rijsano alla Chiesa Valdese. Le simpatie furono così considerevoli da riproporre giustamente, nei centri circonvicini, la notorietà di Riesi come paese evangelico per eccellenza. Un episodio questo, assai curioso e singolare nella storia del Protestantesimo siciliano e italiano in genere. Ancora una volta, però, molti di quelli che si dichiararono valdesi lo fecero solo per spirito anticlericale o per protesta contro i possidenti. Ecco come si spiega l’assenza dei loro nominativi nei vari Registri di Chiesa. Il pastore evangelico del tempo, però, commise l’errore di interpretare questa sorta di sclericalizzazione del paese come una conseguenza della presenza e della predicazione protestante a Riesi. “Benchè non giovane, la Chiesa di Riesi, lungi dal vegetare, progredisce, e quest’anno segna un nuovo passo in avanti per essa. Le fila dei nostri avversari vanno lentamente modificandosi sotto ai nostri sguardi. Quelli che ieri erano clericali, oggi non lo sono più (…). Che Riesi vada sclericalizzandosi di anno in anno, lo provano questi due fatti: 1°-I risultati del censimento del giugno 1911 in cui una buona metà della popolazione si è dichiarata evangelica. E Riesi conta 18.000 anime! 2°-Il significativo e crescente abbandono delle feste religiose e delle chiese cattoliche delle masse di tutti i ceti. All’occasione della visita del Vescovo della Diocesi, la delusione è salita al colmo poichè mai un ingresso di un porporato in un paese cattolico è stato così poco trionfale. La forza pubblica era pressoché sola. Vi fu persino un buon credente cattolico che suggerì timidamente al Delegato di P.S. di dire due paroline al Pastore affinchè questi frenasse l’ardore bellicoso dei suoi contro il Vescovo. Poverino! quello si che era digiuno della storia della intolleranza religiosa.” (AVTP, Tron Enrico, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1911-1912). Accanto a quanti si dichiararono o divennero evangelici per spirito anticlericale, in ogni modo, si distinsero molti attenti e zelanti adepti. “Anche quest’anno, malgrado la malattia del pastore, è stato un anno benedetto sia per la nostra Chiesa che per le nostre scuole. L’ambiente in cui vive la Chiesa è sempre quello che era, un ambiente di completa libertà, di rispetto verso di essa e di vera simpatia. Riguardo alla fede, noi ci muoviamo, purtroppo, in un grande scetticismo. Se noi siamo riusciti ad acquistare quella completa libertà d’azione che non esiste certamente, allo stesso grado, in nessun altro centro d’Italia, come in nessun altro paese forse i veri bisogni dei religiosi sono così poco sentiti come a Riesi. La lotta contro il clericalismo è quasi totalmente scomparsa, ma abbiamo d’altra parte, la lotta molto più snervante ancora contro l’indifferismo che nega tutto, che accetta  tutto,  ma  che  non  si  muove  di  un passo solo se non quando l’interesse materiale ne va di mezzo. Tipiche sono quelle parole di un  uomo, il quale per convincere il Pastore a fargli un favore, faceva a questi la seguente confessione: Se è necessario mi faccio anche evangelico. Queste parole dipingono ottimamente il nostro ambiente eminentemente utilitarista. Non mancano però le persone che sentono la religione, sia quando questa è infarcita di superstizioni e di ignoranza sia quando rappresenta l’Evangelo di Cristo. Eccone alcune prove. Tempo fa un bravo giovane cattolico, religiosissimo, (…), si dava la morte, gettandosi in un pozzo, perché dei begli spiriti gli avevano dato a capire che quello era un ottimo mezzo per essere santificati. Nelle nostre file poi abbiamo il piacere di numerare una bella coorte di giovani forti, robusti, entusiasti che si sono dati mente e corpo al trionfo della causa evangelica, nei campi, nelle miniere, nelle officine. Ogni giovane si è incaricato di un compagno di lavoro per interessarlo alla causa evangelica, per condurlo ai culti, per istruirlo nelle nostre verità e per non abbandonarlo se non quando questi è pacatamente convinto. Ed è così che ulteriormente abbiamo visto molti giovani operai attratti verso di noi (…). Un giovane che, due anni fa era cattolico, ma cattolico convinto, raduna nel pomeriggio della domenica vari suoi compagni e cerca di edificarli e di attirarli a Cristo. Oltre a ciò egli si  reca ogni tanto nei paesi vicini, lui contadino, a parlare di Cristo e del suo Vangelo. Siccome Riesi nei paesi vicini, purtroppo, gode una triste paura, una donna del popolo udendolo ragionare di Amore e di Fede, ebbe a dire alle sue comari additandolo: Ma io ho sempre udito parlare della ferocia dei Riesani, come mai dunque, questi che è Riesano può parlare in questo modo?” (AVTP, Tron Enrico, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1912-1913). Al cambiamento del pastore, avvenuto nell’Anno Ecclesiastico successivo, non corrisposero grandi trasformazioni. Il nuovo evangelista Vittorio Trobia, intensificando l’attività delle varie opere sociali della Chiesa, si conquistò nuove benevolenze popolari. Inoltre, accrescendo l’opera d’evangelizzazione e programmando diverse conferenze speciali, avvicinò alla Chiesa nuovi simpatizzanti. “(…) a provare la grande simpatia e stima di cui siano circondati gli evangelici di Riesi, basta por mente al fatto che il nostro caro fratello prof. De Bilio presentandosi candidato nelle  ultime elezioni amministrative, ebbe l’onore di essere proclamato primo eletto fra tanti commendatori e cavalieri.” (AVTP, Trobia Vittorio, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1913-1914).

 

9-I Valdesi alla vigilia della Grande Guerra  

Sin dal 1871, volente o nolente, la comunità valdese di Riesi era stata condizionata dagli eventi locali. Questa tendenza, accresciutasi durante l’età giolittiana, aumentò ulteriormente negli anni antecedenti la Grande Guerra, vale a dire all’indomani dell’entrata in vigore della legge sul suffragio universale (1913). Grazie ad essa, le consultazioni amministrative del 1914 videro trionfare il partito popolar-progressista, permettendo ad un’ex sindaco tanto discusso dalle autorità di Pubblica Sicurezza di ricoprire la carica di primo cittadino. Gli ampi e vasti consensi ottenuti dal neo sindaco Gaetano Pasqualino sostanzialmente dipesero da una serie di vari fattori: in primo luogo, dalle simpatie che riscuoteva presso la classe contadina, per via della battaglia giuridica demagogicamente intrapresa contro i principi Fuentes-Pignatelli sulla famosa questione degli usi civici; b) in secondo luogo, dal massiccio apporto elettorale della classe operaia, legata al Pasqualino da antiche alleanze che risalivano agli anni in cui anche a Riesi erano state create le prime Società Operaie per il Mutuo Soccorso; c) in terzo luogo, dal sodalizio politico fra il Pasqualino e il socialista rivoluzionario Giuseppe Butera, abile propagandista e trascinatore di masse proletarie; ed, infine, dall’autorevole contributo dell’avv. Gaetano De Bilio, esponente di spicco del partito popolar-progressista e contemporaneamente prestigioso  componente  del Consiglio della Chiesa Valdese di Riesi. Questi fattori di diversità, che inizialmente favorirono il trionfo elettorale, presto divennero le cause dominanti del processo di disgregazione del partito stesso. Il sindaco, infatti, entrò subito in conflitto con alcune parti ideologiche dell’alleanza. In particolare, il dissidio si accese con la corrente socialista-rivoluzionaria di Butera. Questo capo-popolo, molto imbevuto di idee marxiste, dopo aver accettato il sodalizio politico con Pasqualino, cominciò ad attaccarlo, accusandolo di troppa moderazione e di non affrontare adeguatamente la famosa questione agraria. “La Barca Municipale dei popolari navigava senza remi. Visto ciò, il Butera si distaccò dal Pasqualino e seguitò la sua via, trascinandosi di nuovo il popolo. In questo caso i signori ritirandosi a vita privata, lasciarono lottare il popolo diviso in due. Le cose andavano così di male in peggio.” (Ferro Salvatore, op. cit., p. 134). Tra le due anime del partito popolar-progressista presto di originò una forte tensione che trasformò il paese in una sorta di polveriera, pronta ad esplodere da un momento all’altro. Le autorità di Pubblica Sicurezza e i Regi Carabinieri, però, commisero l’errore di sottovalutare la pericolosità della situazione, che presto non mancò a precipitare. Nella serata del 28 luglio 1914, mentre in piazza si concludevano i festeggiamenti in onore di San Giuseppe, Butera e un folto gruppo di socialisti rivoluzionari impugnarono le armi e si posero alla testa di gravi e violenti disordini. Il caos fu tale da indurre l’esigua forza pubblica presente a ritirarsi, mentre viceversa si ingrossarono le file dei rivoltosi. Le forze dell’ordine, piuttosto che scontrarsi con una folla inferocita di braccianti e solfatari, si rinchiusero in caserma, aspettando l’arrivo dei rinforzi necessari richiesti telegraficamente. Fu così che Riesi cadde nelle mani degli insorti. La confusione e l’anarchia, però, durarono quella sola nottata. L’indomani, infatti, quando a Riesi giunsero i rinforzi militari necessari, Regi Carabinieri e Pubblica Sicurezza ripresero il normale controllo del paese. Seguirono ovviamente numerosi arresti. I trattenuti furono, poi, processati e condannati o all’ammonizione o al domicilio coatto. I principali giornali siciliani del tempo riportarono questo triste episodio di cronaca con grandi titoli anti-socialisti:  “Strano tentativo di rivolta a Riesi. Revolverate contro la truppa. La truppa spara in aria (Giornale di Sicilia, 28-29 luglio 1914), La teppa socialista provoca gravi disordini a Riesi (L’Ora, 28-29 luglio 1914), I gravi fatti di Riesi. Altri particolari” (Giornale di Sicilia, 29-30 luglio 1914). Quest’episodio fu risentito dall’ambiente evangelico, al punto tale da rendere particolarmente fragile l’equilibrio interno della stessa comunità protestante. Diversi valdesi, infatti, avevano sostenuto Butera prima e durante i tragici avvenimenti di luglio. A questo punto, sorge inevitabile un interrogativo: perché certe frange dell’Evangelismo dovevano sostenere Butera, quando potevano contare sull’ormai consolidata posizione politico-amministrativa dell’avv. De Bilio, Membro del Consiglio della Chiesa Valdese e Assessore nell’Amministrazione Pasqualino? Molto probabilmente questi valdesi ebbero poco da dividere con la comunità evangelica. Essi furono solo esponenti di quel sottoproletariato paesano che si era dichiarato protestante o per spirito anticlericale o per ostilità nei confronti dei conservatori. La loro, pertanto, furono posizioni molto ambigue. Dell’estraneità di questi pseudo valdesi dalla comunità ci danno un’ampia testimonianza l’Archivio Valdese di Torre Pellice e quello della Chiesa Valdese di Riesi. Da entrambi, infatti, sono stati trovati degli interessanti documenti che fanno luce sull’atteggiamento della Chiesa Valdese di fronte alla rivolta del Butera. A quanto pare, al fine di mantenere dei formali rapporti con i clericali e con le autorità di Pubblica Sicurezza, la Chiesa Valdese assunse un apparente atteggiamento di distacco dal socialista rivoluzionario. Queste  iniziali decisioni  del Consiglio della Chiesa, però, presto originarono forti dissidi in seno alla comunità dal momento che vari  evangelici da tempo simpatizzavano per il radicalismo marxista. Le diatribe e le tensioni, in ogni modo, avevano basi assai ben più marcate di quanto non si possa immaginare. Questi scontri, infatti, non derivavano da futili motivi, ma da autentiche divergenze ideologiche fra i vari componenti del Consiglio di Chiesa. I contrasti e i dissapori furono così profondi da impedire una normale gestione delle varie attività ecclesiali e da costringere il Consiglio a rassegnare le proprie dimissioni. “La vita ecclesiastica s’è svolta normalmente salvo qualche incidente ricomposto; l’Assemblea di Chiesa è stata convocata più volte per discutere interessi particolari all’opera e per eleggere il nuovo Consiglio avendo quello già esistente rassegnate le proprie dimissioni non essendo più l’espressione della volontà della Chiesa.” (AVTP, Trobia Vittorio, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1914-1915). Quali siano state le reali ed effettive influenze esercitate sulla comunità evangelica dagli avvenimenti di luglio continua a rimanere una questione poco chiara. Resta, comunque, il fatto che essi divisero i valdesi in due correnti: una radicale, vicina al Butera; e, una demo-sociale, vicina al sindaco Pasqualino.

 

10-La comunità valdese di Riesi tra guerra e dopoguerra

Le delicate condizioni di sopravvivenza della comunità s’inasprirono con lo scoppio del primo conflitto mondiale e nell’immediato periodo post-bellico. Durante gli anni di guerra, Riesi visse un momento di grande crisi economica che determinò una forte diminuzione dei generi alimentari di prima necessità, consentendo ad usurai e pescecani vari di trarre enormi benefici. Simultaneamente s’accrebbero il fenomeno mafioso e il banditismo. E questo, perché numerosi disertori e renitenti alla leva, si diedero alla macchia e alla malavita. Negli anni in questione, in ogni modo, colpì la radicale trasformazione della malavita organizzata tradizionale. La vecchia mafia dei campieri, infatti, mutò in un’associazione a delinquere assai più potente di quella delle epoche passate, in grado di imporre le proprie direttive anche ai vari amministratori locali. Dal canto suo, lo Stato cercò di combattere il crimine organizzato in ogni modo possibile. Per esempio, allo scopo di prevenire la diserzione di braccanti, solfatari e pecorai (principali neofiti della mafia), il governo tentò di conquistarseli con seducenti promesse riformiste. Inoltre, promulgò una legge eccezionale contro il furto di bestiame, che previde l’obbligatoria marcatura dei greggi e attribuì poteri speciali alle forze di Polizia. Alla fine della guerra, quando questi provvedimenti eccezionali non furono più adottati, i furti di bestiame divennero nuovamente comuni e un gran numero di casi d’omicidi insoluti si riaccumulò negli archivi della Pubblica Sicurezza. Anche le scorribande, i misfatti e i vari regolamenti di conti fra i più noti esponenti della malavita locale ne furono delle tipiche espressioni. Nell’immediato periodo post-bellico la vita del paese fu duramente scossa dall’epidemia della spagnola e dalle agitazioni di solfatari e contadini. La grave forma influenzale, che colpì quasi tutti gli Stati del mondo, diffondendosi con grande facilità in ambienti con gravi carenze sanitarie, non poteva non trovare un fertilissimo terreno in un posto come Riesi. “Parrà cosa incredibile, eppure è vero! La malattia della spagnola a Riesi fece più strage della guerra. Mentre la guerra fece un centinaio di vittime, essa spagnola ne fece morire seicento.” (Ferro Salvatore, op. cit., p. 162). Riesi era anche e soprattutto scossa dagli scioperi. La più imponente e clamorosa manifestazione  proletaria  dell’immediato  primo  dopoguerra  fu  quella  dell’8 ottobre 1919, conclusasi tragicamente come quella del 1914. In questa manifestazione, sebbene portando avanti rivendicazioni diverse, solfatari e contadini riuscirono a fare fronte comune. Lo sciopero del 1919 non costituì un episodio di storia tipicamente paesana come quello del 1914. Esso si inserì in un contesto assai più vasto. Le sue radici vanno, infatti, ricercate nel forte malcontento che, tra la fine del 1918 e gli inizi del 1919, indusse le plebi a mettere sottosopra intere aree dell’Italia centrale e meridionale. Veri obiettivi degli scioperi  non furono solo le rivendicazioni operaie (difesa dei salari, del posto di lavoro e riduzione dell’orario lavorativo) e dei contadini (attuazione della riforma agraria con conseguente lottizzazione delle terre incolte a favore dei villici), ma l’abbattimento dei governi conservatori. Altri fattori, comunque, spinsero il proletariato rijsano agli scioperi. Secondo un falso punto dell’onore, i rijsani amavano morbosamente la verità e la schiettezza delle persone, al punto tale da rassegnarsi alla più crudele delle verità pur di prestar fede ad una parola data. Nello stesso tempo, però, non ammettevano alcun sotterfugio ed erano pronti a diventare violenti e vendicativi tanto quanto erano stati fedeli. Pertanto, molti di quei contadini e minatori che nel 1917 non si erano dati alla latitanza, facendosi conquistare dalle promesse riformiste del governo e accettando conseguenzialmente di essere arruolati e inviati a combattere sul fronte, si sentirono delusi e presi in giro dal non rispetto governativo della parola data. In un primo tempo, le autorità di Pubblica Sicurezza cercarono di prevenire i disordini, facendo arrestare il noto socialista Giuseppe Butera, non appena questi ritornò in paese dalla prigionia. Ma, poiché il movimento operaio e contadino aveva ormai preso una sua ben precisa piega, a nulla valsero i vari provvedimenti eccezionali. La mattina dell’8 ottobre 1919 piccoli contadini, jurnatari e solfatari impugnarono le armi e occuparono abusivamente alcune terre. Successivamente si trasferirono nella piazza centrale del paese, dove inscenarono una manifestazione. In quest’ultima, nonostante le mille precauzioni della vigilia, scoppiarono violenti disordini e incidenti, che causarono la morte e il ferimento di diversi scioperanti e di qualche poliziotto. Lo scompiglio generale fu cagionato dalla presenza di una minacciosa mitragliatrice che le forze dell’ordine, sperando di impaurire e disperdere i manifestanti, avevano sistemato nei pressi della piazza. Ancora una volta, i principali quotidiani isolani del tempo fecero ricorso a titoloni antisocialisti per descrivere quant’era accaduto: “Grave conflitto a Riesi. Sette morti e venti feriti (L’Ora, 8-9 ottobre 1919), I gravi fatti di Riesi. Conflitti fra dimostranti e forza pubblica. Sette moti e numerosi feriti (Giornale di Sicilia, 9-10 ottobre 1919), Il conflitto di Riesi. Come ebbe origine e come è finito.” (L’Ora, 9-10 ottobre 1919). Anche questi eventi ebbero delle ripercussioni sulla comunità evangelica, al punto tale da causare una serie di dissidi interni. Tali contrasti provocarono un notevole disorientamento e indebolimento della Chiesa Valdese. Essi, infatti, fecero venir meno l’unità e la solidarietà fra i vari evangelici. Piena testimonianza di tutto ciò sono due lettere-petizioni del 1916, una contro e una a favore il ritorno del pastore Trobia nella guida della comunità rijsana. Una delle problematiche che contrassegnò il volto della comunità evangelica nell’Anno Ecclesiastico 1915-1916 fu quella relativa alla mancanza di una direzione stabile. “ Nei primi cinque mesi (luglio-novembre) continuò quì l’opera sua l’evangelista Vittorio Trobia.  Chiamato lui sotto le armi, la Chiesa fu per un mese diretta dal diacono ins, L. Campisi; quindi la Tavola potè mandarvi lo studente in Teologia A. Furhmann, che vi stette circa quattro mesi.    Chiamato anche lui sotto le armi, vero la fine di aprile, la Chiesa fu affidata al Consiglio di Chiesa, con a capo l’anziano avv. G. De Bilio.” (AVTP, Il Consiglio di Chiesa, Relazione dell’Anno Ecclesiastico 1915-1916). Quando nell’autunno del 1916, finito il servizio militare, il pastore Trobia riprese la direzione della sua Chiesa, riaffioraro antichi conflitti interni. “Tornato il sig. Vittorio Trobia dopo circa un anno di assenza per ragioni di servizio militare, alla direzione di questa Congregazione, che trovò quattro Membri del Consiglio, per ragioni diverse, avevano presentate le loro dimissioni; pregati tutti e quattro di ritirarle, due rispondevano all’invito e tornarono attivi alla Chiesa, mentre gli altri due insistettero e si allontanarono completamente. La pace della Chiesa però non fu nuovamente turbata in tutto quest’anno, anzi, dissipati i malintesi ch’erano stati fatti sorgere arditamente, qualcuno che s’era allontanato ritornò più zelante di prima e tutti quelli di buona volontà si sono stretti attorno al ministro e lo hanno grandemente incoraggiato e confortato nella sua attività pastorale.” (AVTP, Trobia Vittorio, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1916-1917). Uno dei migliori quadri descrittivi del paese e della comunità è, comunque,  quello che si ricava dalle Relazioni del pastore Arturo Mingardi, relative agli Anni Ecclesiastici 1917-1918, 1918-1919 e 1919-1920. “Dopo quattro anni di guerra con un finale terribile di epidemia siamo tutti in piedi a benedire Iddio nostro Padre, che non ci ha abbandonati e ci ha voluto dimostrare chiaramente l’Opera sua, a cui serviamo nel nome di Gesù Cristo, è l’Opera sua. Si, anche la Chiesa Ev. Valdese di Riesi, come crediamo di tutte le altre consorelle, ha fatto qualche progresso in mezzo a tante difficoltà e ciò è un dono di Dio; dono tale che ci costringe a maggiore fedeltà.   (…) Eravamo 111 (centoundici) Membri Comunicanti e, nonostante 4 perdite, siamo ora 119 (centodiciannove) colla grata convinzione che i nuovi Comunicanti siano per dar sempre buona testimonianza. (…). Molti Membri di Chiesa sono davvero Comunicanti, cioè partecipano attivamente alla vita religiosa e morale della Chiesa, ne godono le gioie, ne condividono i dolori, ne  sopportano i pesi, testimoniano di Cristo. Ma ve ne sono altri che, nonostante si dicano qualche volta evangelici a parole, in pratica non sono per la Chiesa altro che nomi figuranti sui registri. Pochissimi altri, infine, stanno ancora a rappresentare un tipo, che grazie a Dio va scomparendo dalla Chiesa. Sono viventi, ferventi, assidui, attivi, ma a patto che il fratello, loro supposto nemico, sia per la Chiesa tutto il contrario; se questi ritorna assiduo e attivo, essi si allontanano e viceversa. (…).  Durante tutto quest’anno, meno che nel mese dell’epidemia nell’autunno, i culti furono sempre bene frequentati. La domenica mattina da un minimo di 60 Uditori a un massimo di 130. La sera da 45 a 200 Uditori.  Molto proficue, sia per l’edificazione della Chiesa, sia per la propaganda fra la cittadinanza, riuscirono le Conferenze straordinarie tenue nei giorni 28, 29 e 30 marzo dal pastore sig. Luigi Nicol e dal nostro pastore locale. La parte migliore  della cittadinanza  affluì a centinaia nel Tempio, assidua e attentissima. D’allora in poi i culti della mattina e della sera ebbero sempre un bel numero di Uditori non iscritti alla Chiesa ed aumentò il numero dei catecumeni. Qualche volta  assistettero  ai  culti  tutti gli ufficiali dei presidi insieme. Abbiamo venduto a chi ce l’ha richiesti quasi 200 Bibbie, Nuovi Testamenti e volumi dei Vangeli cogli Atti. (…). Abbiamo ancora curata la diffusione di giornali ed opuscoli di propaganda evangelica. Ma a questo riguardo l’ambiente è difficile per la generale apatia alle lettere in genere. Altre attività che si impongono sono: l’istituzione di un’Associazione Cristiana dei Giovani, che deve sorgere come si è riorganizzata l’Unione E. V. che già dà discreti risultati; un dispensario medico a cui i migliori cittadini, compresi alcuni medici, darebbero il loro contributo. Riesi, che conta 20 mila abitanti, versa nelle più disastrose condizioni igieniche e non possiede veruna istituzione sanitaria; la inettitudine e la indifferenza dei poteri pubblici rendono necessario che l’iniziativa di un’opera tanto benefica e urgente venga dalla Chiesa Valdese, l’unica istituzione in paese che dà garanzia di onestà e di amore verso il popolo. Perciò noi desideriamo ardentemente il miglioramento e l’ingrandimento dei locali della nostra opera. Ottenutili noi ci metteremmo a lavoro coi soli mezzi nostri e del paese. Se noi potessimo dire alla cittadinanza l’Amministrazione Centrale della Chiesa Valdese è pronta a fornirci locali, in cui potrà trovar posto un dispensario medico noi siamo certi che tutta Riesi darebbe un bellissimo contributo alla spesa pei nuovi locali. Il pastore valdese è molto bene accetto in tutti i buoni ambienti paesani. E’ spesso invitato a tener Conferenze nelle varie società e chiamato come controllo di fiducia in delicati affari fiduciari di alcune società; egli può evangelizzare ovunque con profitto. Il prete cattolico trascina la genterella con feste chiassose, ma tutto il paese ha maggior fiducia e stima della religione evangelica.” (AVTP, Mingardi Arturo, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1918-1919). Più particolareggiata è la Relazione dell’Anno Ecclesiastico successivo. “L’attività interna della Chiesa e il lavoro di evangelizzazione si sono svolti quest’anno in un’atmosfera cittadina satura di disordini sociali, di fatti tragici, di gravissime preoccupazioni materiali; cose tutte che, se nei grandi centri possono non influenzare direttamente tutte le classi di cittadini, nelle piccole borgate allarmano e disorientano tutti e tutto. Si cominciò con un lungo e violento sciopero nella terrificante tragedia dell’otto ottobre, in cui si ebbero molte vittime e che produsse tale panico nelle donne e nei fanciulli che ancor oggi alcuni di essi son presi da crisi nervose ad ogni sparo, sia esso per uccidere un cane arrabbiato, o per far festa al santo. I nostri locali vennero allora invasi per alcune settimane da un reparto delle truppe venute alla riconquista di Riesi. Durante tutto l’inverno e la primavera fummo quotidianamente sotto l’incubo della malavita, vilmente e selvaggiamente imperante. Quasi ogni notte scoppiarono  qua  e là dentro l’abitato bombe di dinamite o di gelatina per ammonimento a onesti cittadini refrattari alle anonime lettere di scrocco. Spesso sul far della sera si perpetrarono rapine a mano armata nelle vie anche centrali del paese. Le strade di campagna furono di continuo infestate da briganti abigeatari. La vita del paese fu paralizzata; più nessuno uomo onesto era sicuro; ci pareva d’essere in una regione invasa da barbari senza alcuna pubblica difesa. Seguirono gli interminabili scioperi dè zolfatai, che gettarono tante famiglie nella miseria. Si aggiunse infine la crisi del pane e della pasta, che produsse una vera anarchia in tutte le branche della vita paesana. Ognuno doveva andare a perdere il suo tempo, la sua pace e la sua dignità alle porte delle luride rivendite, dove si doveva lottare selvaggiamente per ore e ore per avere il necessario non garantito da qualsiasi provvedimento dell’autorità, ma lasciato alla mercè dei più furbi e dei più mafiosi. Mancò dunque sempre la calma negli animi, la libertà dei movimenti; e la puntualità nell’adempimento dei doveri superiori divenne difficile. Il prete, fedele allo spirito predominante nella sua chiesa, in tanto sfacelo dei più elementari sentimenti umani, aumentò le feste chiassose in forma anche più demoralizzante del solito e il popolino, ormai rimbecillito da tante quotidiane enormità, corse a distrarsi chiudendo così ogni via al raggio di luce divina tanto necessario per uscire da questa morta gara. Queste difficoltà esterne senza parlare di quelle interne, di molto diminuite in confronto col passato, ma pur sempre deplorevoli in una Chiesa evangelica. Se noi volessimo indugiarci a descrivere anche la quasi completa assenza di umana solidarietà, la sfiducia reciproca, la menzogna, l’egoismo sfrenato e la meschina inettitudine al progresso civile, cose tutte radicate da ormai troppo tempo in questo povero paese, noi avremmo con ciò dimostrato che l’opera evangelica a Riesi non può essere principalmente che lotta dichiarata contro il maligno per riinondare il campo dove spargere una nuova semenza di Vangelo. Purtroppo il nostro compito è divenuto per il momento presente di sfibrante fatica di demolizione e non ci arride vicino il giocondo, rallegrante lavoro di edificazione d‘un paese veramente cristiano. Che la Chiesa non si sia nascosta, né accasciata e ce non abbia taciuto fra tanto imperversare di abbiette e violente passioni individuali e sociali lo dimostrano i fatti seguenti: a) Erano stati assassinati di notte due bravi giovani. La cittadinanza dispose due solenni funerali in onore delle vittime. Nel primo furono oratori il prete, alcuni cittadini e alcuni ufficiali, perchè il giovane era un carabiniere in vacanza. Si ebbe al solito una paura matta di attaccare la malavita. Fu allora invitato il pastore per il secondo funerale, che non era evangelico ma a metà cattolico. Domandavano la parola  franca  della  Chiesa  evangelica  e l’ebbero: il funerale lasciato il prete in asso si cambiò in un colossale comizio di protesta contro la malavita e contro tutte le debolezze e le camorre che le permettono di pullulare così spaventosamente. Un solenne giuramento echeggiò di lottare coraggiosamente contro i pregiudizi e le consuetudini per cui è venuto a diminuire il sacro, naturale e aborrimento del sangue e si è portata l’arte della guerra a casa. Si giurò di non aver paura della delinquenza organizzata e protetta e si maledirono le armi e la sicurezza che quasi tutti pongono soltanto in esse; b) Nel 1° maggio, Festa dei lavoratori, il paese era sotto l’incubo di nuovi paurosi disordini per la venuta di un oratore anarchico notoriamente violento; ma con soddisfazione dei proletari socialisti e grande tranquillità dei cosiddetti borghesi, fu il pastore che parlò al popolo in quel giorno, conquistando così per la Chiesa Ev. la delicata posizione pacera tra le due parti sempre contendenti; c) Nel momento più acuto della crisi del pane e della pasta, dovuta del resto tutta alla inettitudine degli amministratori e all’ingordigia degli speculatori, il pastore come rappresentante degli evangelici fu chiamato ad uno dei posti più importanti di una commissione che doveva provvedere al bisogno e nel medesimo tempo fra i cittadini, senza ingerenza di evangelici, si iniziò una pubblica sottoscrizione in cui per desiderio di giustizia e di buona amministrazione si chiedeva il pastore evangelico a x capo della cosa pubblica: ma fu egli stesso che si oppose decisamente dichiarando in pubblico il ben più alto suo compito; d) Il prete si lagna fortemente, dove lo può fare, della indecente espansione dell’influenza evangelica nel paese e accusa noi tutti di avere troppo presto dimenticato di essere in Italia dei semplici tollerati; e) L’Autorità Comunale non ci ignora più e quest’anno per la prima volta, sebbene in parte per risarcimento di danni arrecatici dalle truppe, ha beneficato la nostra opera. L’ultimo Regio Commissario ha domandato in privilegio di poter fare dono personale alla Chiesa ed ha espresso il desiderio di far parte di essa. (Egli però conobbe l’Evangelo frequentando da militare i culti a Milano e a Messina conversando col collega pastore sig. Corsani). Anche la grande Società Mineraria Siciliana (la Montecatini) che esercisce le miniere di Riesi ha per la prima volta quest’anno preso interesse per le nostre scuole e si spera che ciò sarà anche per l’avvenire. Ciò si deve in parte alla ottima influenza di quel genuino valdese che è l’ing. Giulio Rostan, direttore della miniera Tallarita, e in parte all’atteggiamento di accresciuta simpatia che va determinandosi in tutto l’ambiente riesino. I culti furono sempre discretamente e spesso molto frequentati dagli evangelici e da gente simpatizzante. (…). Possiamo affermare con gratitudine a Dio che la vita interiore della Chiesa si è rinvigorita. Fra tanto rumore di odi, di vendette e purtroppo di armi al di fuori, nella nostra  comunità  ha rifiorito l’ulivo  della  pace  e  della  concordia  (se  ne  tolgono  quel  paio  di  odiatori  di  professione che noi lasciamo bollir nel proprio brodo finchè si rifiutano di ubbidire al Signore). Abbiamo sentito che nell’umiltà e nella fedeltà religiosa del Vangelo progrediscono la vita spirituale dei singoli e la forza esterna della Chiesa, meglio che con le orgogliose competizioni personali trasportate insipientemente dalla piazza nel Tempio.” (AVTP, Mingardi Arturo, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1919-1920).

 

11-Gli inizi del movimento Evangelico-Pentecostale

La notorietà di paese protestante, che la Riesi di fine Ottocento s’era conquistata tra gli abitanti dei centri vicini, fu rafforzata dalla diffusione della nuova confessione Evangelico-Pentecostale. (Il nuovo movimento protestante, come quello valdese, influenzò in vario modo le dinamiche politiche e socio-culturali del paese nei decenni successivi). I primi predicatori pentecostali (Filippo Milazzo e Antonio Baglio) giunsero a Riesi nel 1921, incontrando enormi e insormontabili difficoltà. Le avversità iniziali furono tali da impossibilitarli ad operare serenamente, tant’è che Baglio riuscì ad aprire un primo locale di culto solo verso la fine dell’anno. I suoi timidi e graduali successi, comunque, dipesero dall’aiuto di Giovanni Sola, uno dei massimi esponenti dell’Evangelismo-Pentecostale siciliano e italiano in genere, che a Riesi visse ed operò per qualche anno. Sola era originario di Ravanusa, un piccolo centro della provincia di Agrigento, vicino a Riesi. Come Baglio era emigrato giovanissimo negli Stati Uniti, dove s’era convertito all’Evangelo. Nel 1919, ritornato Italia, si dedicò alla predicazione. Nel 1920, dopo avere aperto una locale di culto nel paese natale, cominciò a spostarsi in vari centri vicini e lontani, conquistandosi la notorietà di pioniere evangelico. Questo equivalse ad una sorta di implicito riconoscimento di una certa sua leadership da parte degli altri suoi confratelli. Ecco perché,  quando Baglio, alla fine dell’anno 1921, gli chiese collaborazione a Riesi, accorse immediatamente. A Riesi, però, Sola presto rimase solo dal momento che, alla fine dell’anno 1922, Baglio emigrò nuovamente negli Stati Uniti. “Verso la fine dell’anno 1921 venne dalla America il fratello Antonio Baglio, diretto a Riesi. Egli aveva il mio indirizzo e venne a trovarmi a Canicattì per un paio di ore di passaggio. Prima del fratello Baglio aveva reso testimonianza il fratello Filippo Milazzo anche lui venuto dalla America. Per la sua testimonianza si convertì il fratello Calogero Paterna e moglie. Quando venne il fratello Antonio Baglio vi fu un risveglio per tutto il paese di Riesi. Diversi credettero e furono battezzati. (…). Il fratello Antonio Baglio dimorò a Riesi circa dieci mesi e poi ripartì per l’America, nel 1922. Ma, prima che il fratello Baglio partisse, io ero andato a Riesi per prendere cura di quel gruppo di fedeli. (Sola Giovanni, La mia testimonianza, Agrigento, 1957, pp. 30-31). Sin dal suo primo momento, la comunità pentecostale fu duramente attaccata da cattolici e valdesi. Per quanto riguarda la comprensione dell’ostilità dei primi, è assai facile immaginarne i motivi. Per la seconda, invece, è assai più complessa. Probabilmente essa dipese da un sorta d’atteggiamento competitivo tra le due diverse comunità, originato dal proselitismo pentecostale proprio tra i valdesi. Per una migliore comprensione di questa piccola guerra di religione, in ogni modo, diamo uno sguardo ad un Verbale del Consiglio della Chiesa Valdese del tempo. “In casa del Pastore: sono presenti il presidente, l’anziano prof. G. De Bilio, I. Fiorenza e G. Bruno. Il Sig. Baglio dall’America del Nord si è presentato al Pastore come un mandato da Dio con grande missione da compiere a Riesi. Ha chiesto a pigione il nostro Tempio dicendo di voler rivolger il suo messaggio alla Chiesa innanzitutto, allo scopo di farla entrare tutta in blocco nella nuova Chiesa che egli è venuto a fondare a Riesi: la Chiesa Pentecostale. Il Pastore, convinto per varie ragioni che il Baglio e i suoi compagni non sono che degli esaltati fanatici, che non danno nessuna garanzia di quelle garanzie che gli uomini di Dio sanno sempre dare a prova della loro divina  missione, ha creduto di non poter cedere il nostro Tempio. Infatti, i pentecostali che prima del Baglio lavoravano con una certa prudenza si sono rivelati completamente ed hanno dimostrato di mancare di modestia, di umiltà, di prudenza e di serietà. Il Consiglio di Chiesa deve intendersi sul miglior modo di agire di fronte a questa situazione. Si è discusso a lungo che la nostra linea di condotta deve essere ispirata alla massima serietà e alla libertà. (…). Non è bene che la Chiesa come tale ed il suo Pastore si metta in questa lotta che non ne vale la pena. Il tempo ben presto farà ragionare questi superbi, ingrati e ignoranti. (ACVR, Registro dei Verbali del Consiglio di Chiesa: 1° novembre 1883 – 14 dicembre 1937, Seduta del 27 gennaio 1922). Le diatribe si acuirono a tal punto da indurre il pastore valdese a scrivere quanto segue nella Relazione dell’Anno Ecclesiastico 1921-1922. “Abbiamo avuto quest’anno l’urto di un avversario di nuovo genere, vogliamo dire la propaganda di certi fanatici reduci dagli Stati Uniti d’America, i quali han la presunzione di avere tutta per loro l’effusione dello Spirito Santo. Cominciarono col chiedere a pigione il nostro Tempio come se fosse bottega e van gridando che tutte le Chiese Evangeliche eccetto la loro sono mestieranti per lucro. I metodi di propaganda sono in grande stile: 5, 8 e 10 locali aperti contemporaneamente a tutte le ore del giorno e fino a notte –voce stentorea, assordante- contorsioni e prostrazioni corporali vistose e violente –boria suggesionatrice…inutile a Riesi dove il denaro suggestiona e solo Dio può convincere. Non hanno fatto nessuna breccia nella Chiesa nonostante le loro molte furberie e la loro prosopopea di ispirati. (…). Hanno concluso per ora col gettare il ridicolo sulla religione, facendola sembrare esclusivamente un buon affare a base di dollari; hanno sparso a piene mani una fosca ombra sulla sincerità religiosa evangelica e ciò è per noi un grande dolore, una dura prova” (AVTP, Mingardi Arturo, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1921-1922). Questi contrasti, comunque, non indebolirono la neocomunità evangelica. Viceversa, determinarono meglio i vari aderenti, spingendoli verso una vera e propria reazione d’orgoglio (E’ molto probabile che proprio in quest’atteggiamento caparbio degli adepti rijsani risiedano le vere cause del consolidamento della comunità). Nel 1926 Sola e i confratelli rijsani decisero di affrontate la delicata problematica del possesso di un locale da adibire a culto. I pentecostali, infatti, non intendevano commettere gli stessi errori commessi alcuni decenni prima dai valdesi. 

“Nell’anno 1926 con l’aiuto dei fratelli d’America e con quello che abbiamo collettato nella fratellanza locale, fabbricammo un locale di adunanza per i fedeli di Riesi. Dopo, finito il lavoro, dissi ai fedeli che quattro di loro si mettessero nell’atto di proprietà. I fratelli, tutti di accordo, decisero al fratello Giovanni Sola solo si doveva mettere nell’atto di quel fabbricato. Così mi diedero l’onore di farmi padrone. Ma dal giorno che fu fabbricato fino ad oggi è stato sempre a disposizione dei fedeli e nessuno mai sarà padrone. Il tesoro degli eletti di Dio è nel cielo e nessuno tesoro o bellezza di questa vita ruba l’anima a quella che ci siamo convertiti a Dio per la speranza della vita eterna” (Sola Giovanni, op. cit., p. 53). Nel 1928, le crescenti intimidazioni di alcuni avversari fanatici, costrinsero Sola a lasciare Riesi. Era indubbiamente questo il preludio di quello che da lì a qualche anno sarebbe diventata la dura politica discriminatoria del regime fascista. Quest’atteggiamento, infatti, rafforzatosi dopo i Patti Lateranensi del 1929, raggiunse l’acme nel 1935. Ancora una volta, però, i pentecostali riuscirono a superare le difficoltà del momento e a mantenersi saldamente uniti. Nuovi avvenimenti minacciarono l’integrità della comunità nell’immediato secondo dopoguerra. Quest’ultimi, pur essendo originati da futili motivi, determinarono una dura disputa interna che divise i pentecostali in due opposti schieramenti. La tensione fu, poi, superata in un modo assai singolare. Nel 1975, tenendo conto dell’indole istintiva e poco incline al compromesso dei rijsani, la comunità pentecostale si riorganizzò in modo tale da non lasciare deluse le parti. L’eventuale amarezza di una delle due fazioni, infatti, avrebbe fatto disperdere gli adepti. Pertanto, venne individuata una formula per riuscire a mantenere uniti i confratelli nella loro divisione. Pertanto, si decise di creare due Chiese Pentecostali, autonome l’una dall’altra. Una delle due, più numerosa e forse meglio organizzata, si consolidò ulteriormente qualche anno dopo, nel preciso momento in cui entrò a far parte di quell’organismo nazionale detto Assemblee di Dio in Italia.

 

12-L’Evangelismo rijsano durante l’Era Fascista

Nel periodo precedente l’avvento al potere del regime fascista, la situazione socio-politica e giudiziaria di Riesi fu contrassegnata da disordini, tensioni ed eventi malavitosi. “Le campagne furono abbandonate a se stesse; i proprietari non potevano dare un passo; furti e omicidi, ruberie d’ogni genere erano all’ordine del giorno; ladri e ladruncoli nelle campagne scorrazzavano impunemente, perché la Giustizia aveva perduto il suo corso. (…) si commettevano brutti atti: basta dire che ad un barbiere gli levarono 25 soldi e lo scialle, alla discesa del Carcere vecchio; ad una coppia di giovani sposi, dopo l’Avemaria, mentre tenevano il marito, alla sposa rubavano lo scialle e l’oro; in pieno giorno, per la via della miniera Tallarita, furono assaltati gli zolfatai che avevano ricevuto la paga. Ma ciò che maggiormente faceva impressione erano gli omicidi, i delitti terrificanti che succedevano nelle campagne” (Ferro Salvatore, op. cit., pp. 166-167). La mancanza di generi alimentari di prima necessità provocò un forte panico e originò un autentico stato d’anarchia nelle varie branche della vita paesana, costringendo quasi tutti ad essere alla mercè degli usurai e dei malavitosi.  In un primo momento, con i suoi rigidi sistemi, il Fascismo parve porre fine a questa situazione, ristabilendo l’ordine pubblico. Tuttavia, non risolse le problematiche dei ceti popolari. E questo, perché i vari burocrati del regime pensarono esclusivamente a rafforzare le proprie posizioni egemoniche e a liquidare la piccola delinquenza, permettendo alla grande mafia di riciclarsi nel nuovo sistema politico. I ceti dirigenti, dunque, abbandonarono gattopardescamente le posizioni ideologiche conservatrici e liberali e abbracciarono quelle fasciste. In questo modo, se da un lato è vero che tramontarono le vecchie beghe e diatribe politiche dall’altro è altrettanto certo il fatto che i fascistelli di turno s’apprestarono a diventare autentici tirannelli locali. Da questo trasformismo politico rimasero aliene le forze popolari. I contadini furono sicuramente i primi a risentire le conseguenze dei nefasti effetti di una simile situazione. Impossibilitati dalle leggi fasciste ad associarsi come meglio credevano e duramente provati dalle imposizioni dei proprietari terrieri e dei campieri mafiosi, subirono il corso degli eventi. Diversa fu, invece, la sorte dei solfatari e degli artigiani. Questi vissero il periodo del Ventennio costantemente sul chi va là, pronti a passare al contrattacco al minimo cenno da parte dei leaders della neonata e clandestina organizzazione comunista. Per qualche tempo, diversi individui appartenenti a questa segreta associazione politica sfuggirono alle persecuzioni fasciste, grazie alle coperture della Chiesa Valdese. Divenendo componenti dell’Unione Giovanile Valdese, infatti, diversi  giovani  comunisti  ebbero  modo di celare alle autorità di Pubblica Sicurezza le proprie simpatie politiche e il carattere antifascista delle loro riunioni, fatte abilmente passare per incontri religiosi e socio-culturali. Mettendo a disposizione di tali individui un proprio locale, dunque, la Chiesa Valdese di Riesi assunse una chiara connotazione politica. Strettamente connesse a queste vicende furono, poi, le nuove dispute fra valdesi e pentecostali. In un certo senso, però, esse furono le inevitabili conseguenze dell’atteggiamento assunto dai comunisti dell’Unione Giovanile Valdese. Quest’ultimi, approfittando delle diatribe fra le comunità evangeliche e dell’indiscusso prestigio che quella valdese godeva in paese, riuscirono a farla franca alle autorità di Pubblica Sicurezza e a discolparsi dalle accuse di antifascismo a discapito dei pentecostali. Facendosi passare per valdesi, infatti, i comunisti riuscirono a fuorviare le indagini degli inquirenti. In più occasioni, essi affermarono fermamente di non essere quegli evangelici fanatici e capaci di possibili reati politici di cui erano sospettati e che, pertanto, le indagini si sarebbero dovute spostare verso altre direzioni. Per questa ragione, i pentecostali divennero l’autentico capro espiatorio della situazione. Naturalmente, nel valutare questa situazione, non bisogna commettere l’errore di pensare che le indagini delle autorità di Pubblica Sicurezza siano state depistate e rivolte sulla comunità pentecostale dalle semplici indicazioni di certi spregiudicati valdesi. Esse, infatti, furono attratte da quel carattere emotivo e appariscente che rendeva poco e mal compreso il credo pentecostale a chiunque, specie ai prevenuti inquirenti fascisti. A questo punto, però, sorge inevitabile una domanda. Per quali ragioni certi valdesi attaccarono i pentecostali così duramente da giungere persino a calunniarli e ad additarli alle autorità fasciste del paese? Indubbiamente la risposta a quest’interrogativo va ricercata nei contrasti esistenti tra le due comunità protestanti del paese, risalenti al 1921. Questi dissidi, come s’è visto, erano stati originati da un certo astio tanto per i predicatori pentecostali, rei di essersi aperti delle brecce nella muraglia valdese, quanto per quei valdesi passati alla Chiesa Pentecostale. Contrariamente a quanto si legge nelle Relazioni dei pastori valdesi, dunque, alcuni Membri e simpatizzanti della Chiesa Valdese, stanchi delle continue e ossessionanti tensioni interne decisero di entrare a far parte della comunità pentecostale. Le ragioni di una simile decisione risiedevano nel semplice desiderio di potersi una volta per tutte dedicare all’Evangelo, alienandosi dalle varie vicende di politica locale. Questa motivazione, nel giro di pochi anni, a Riesi divenne una sorta di spartiacque fra le due comunità protestanti. Una nuova ondata di fanatismo religioso riprese in grande stile nel 1923. Per l’assoluta mancanza di fonti documentarie pentecostali, ancora una volta, concentriamo le indagini sul valdismo, di cui invece si possiede un ampio materiale d’archivio. “Durante tutto l’anno abbiamo avuto un bel numero di simpatizzanti. A questo riguardo è doveroso far ben notare che l’efficienza dell’opera valdese di Riesi non è giusto misurarla esclusivamente dai registri di iscrizione della Chiesa, bensì anche dal grandissimo numero di amici e simpatizzanti che l’opera conta in paese fino a farla essere perciò un’opera tutt’affatto semplice. Né tale amicizia e   simpatia sono soltanto platoniche, che, anzi, all’occasione si concretano in difesa e in aiuto della religione evangelica e spesso in propaganda di essa. Citeremo per prova la forte vendita di libri sacri fatta   dal   pastore   e   dal  colportore  sig.  Salvatore  Ferro  e  la  generale  cosciente  condanna  delle superstizioni cattoliche e delle superbe pretese del sacerdozio. Il parroco che aveva riunito un circolo di giovani e di ragazzi, qualcuno dei quali s’era mosso a dir per le strade abbasso, fuori gli evangelici, ha dovuto presto smettere e veder disperso spontaneamente il suo circolo. Venuto il vescovo Mons. Sturzo, fratello del famoso segretario del P.P.I., in visita pastorale, dovette alloggiare presso di un concittadino interessato, perché nessuno dei molti ricchi lo accolse in casa. (…).In un senso lato si potrebbe dire che Riesi nella sua maggioranza è evangelico. Questo risultato lo si deve per gran parte alle Scuole nostre, ma anche alla buona testimonianza dei fratelli. (AVTP, Mingardi Arturo, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1922-1923). Come possiamo, dunque, ben vedere quanti si convertirono al credo pentecostale lo fecero per profonde ragioni e motivazioni spirituali, diverse da quelle che avevano viceversa spinto vari rijsani ad aderire al valdismo. Infatti, mentre quest’ultimi erano diventati protestanti per puro spirito anticlericale o semplicemente per avversione nei confronti del ceto possidente, la minoranza dei pentecostali fu tutta tale per intima e profonda convinzione religiosa.  Gli eventi politici nazionali indubbiamente ebbero una forte influenza sull’andamento della comunità, tant’è che essa, nel 1929, registrò una leggera flessione. “Siamo apparentemente diminuiti! (…). In realtà non si tratta di diminuzione, ma semplicemente di chiarificazione. A tale scopo abbiamo formate tre liste: una dei Membri effettivi della Chiesa, vale a dire di quelli che vivono in continuo contatto colla Chiesa e ne fanno le spese nel limite del loro possibile. (…). Una seconda lista indica quelli che pur vivendo a Riesi ed essendo stati, una volta vicina o remota, Membri della Chiesa ora dormono, o fanno delle opposizioni, o non fanno niente (…). Infine una terza lista tiene nota di tutti quei fratelli e sorelle di questa Chiesa, che dimorano temporaneamente o forse stabilmente fuori, sia in Italia, sia all’estero” (AVTP, Mingardi Arturo, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1929-1930). Diversi evangelici, quindi, impauriti dalle vicissitudini, si allontanarono per qualche tempo dalla comunità. Da quanto si evince dai Verbali del Consiglio di Chiesa, agli inizi degli anni Trenta, la comunità cercò di contenere certi aderenti, allo scopo di non offrire alle autorità di Pubblica Sicurezza i pretesti per essere apertamente tacciata di antifascismo. Ciò significa, che il Consiglio di Chiesa si vide costretto a prendere dei provvedimenti disciplinari contro quegli elementi ritenuti poco diplomatici. “La disciplina ha lasciato qualche volta a desiderare, ma il Consiglio di Chiesa ha agito con energia. La nostra Chiesa è ancora in formazione, e solo una stretta vigilanza potrà impedire l’infiltrazione  di uno spirito di orgoglio e di indisciplina che non hanno niente a che fare con l’Evangelo. Ma, a parte pochi casi isolati, nella nostra Chiesa ha regnato la pace e l’amore cristiano” (AVTP, Nisbet Robert, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1931-1932)

Intorno alla metà degli anni Trenta le forze dell’ordine smascherarono i comunisti dall’Unione Giovanile Valdese. La maggior parte di loro subì l’ammonizione o qualche anno di carcere, mentre un’esigua minoranza fu condannata al domicilio coatto, cioè al confino. I clericali chiaramente ne approfittarono per sferrare un nuovo e violento attacco contro gli evangelici. Ancora una volta, però, la loro intolleranza non sortì alcun effetto. “Siamo stati ripetutamente attaccati dalla stampa Cattolica Romana che, dopo le solite e vecchie calunnie contro di noi, senza avvedersene ci rende una buona testimonianza quando dichiara che i valdesi di Riesi hanno circa 80 famiglie ufficialmente ascritte alla setta, compatte ed operanti incessantemente”  (AVTP, Bert Umberto, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1934-1935). L’offensiva clericale proseguì anche durante l’anno ecclesiastico successivo. “L’anno ecclesiastico, ora trascorso, si è aperto sotto auspici tutt’altro che lieti. Uno dei nostri primi culti era gravemente turbato dal passaggio di una processione. Alcuni sconsigliati, dopo averci gravemente provocati, suscitarono degli incidenti che deplorammo vivamente. Non abbiamo creduto bene di prendere i provvedimenti del caso per non inasprire gli animi e per dimostrare, ancora un a volta, che l’amore fraterno e la Carità Cristiana sono i due principi sui quali si fonda la nostra opera. Le Autorità competenti si sono però affrettate ad assicurarci che in avvenire, faranno tutto il possibile perché casi del genere non debbano più verificarsi. Non tralasciammo però di ricordare, a chi finse di ignorarlo, che la Legislazione Fascista sui Culti Ammessi è chiara e lo stesso Codice Penale non permette a nessuno di turbare il libero esercizio del nostro culto. Questo episodio è l’indice rivelatore del fatto che si è inaugurata nei nostri riguardi una indegna e sleale campagna a base di volgari calunnie. Siamo lieti di poter dire che i Membri della nostra Chiesa hanno tutti  dato un costante esempio di fermezza di animo e di fede, non tralasciando di compiere serenamente il loro dovere. A noi tutti incombe il preciso dovere di continuar, con rinnovato zelo, un’opera di chiarificazione in seno a quegli ambienti saturi di idee errate e tendenziose a nostro riguardo” (AVTP, Bert Umberto, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1936-1937).

 

13-Tra guerra e dopoguerra

Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, Riesi tornò a vivere un nuovo difficile periodo. Durante gli anni bellici, si riproposero antiche problematiche sociali e riapparve in tutto il suo spessore la potenza della mafia. Alcune di queste tensioni avevano già avuto modo di proporsi negli anni prebellici. A partire dal 1935, per esempio, diversi agricoltori finsero di ignorare gli ordini di consegnare obbligatoriamente la farina alle autorità. Così come i vari tentativi dei proprietari di ridurre i salari spinsero la manodopera contadina ad abbandonare i feudi. Nel luglio 1943, dopo cinque settimane di combattimenti, la Sicilia cadde nelle mani degli anglo-americani. Gli Alleati s’impadronirono dell’Isola con una facilità sbalorditiva e sorprendente. Per questo, nei loro rapporti, gli ufficiali anglo-americani rilevarono con incredulità e stupore il modo come cui si erano svolte le varie operazioni, cioè tra un basso numero di perdite e il giubilo popolare. Gli anglo-americani, trovando un po’ ovunque un’enorme vuoto di potere, affidarono la guida di diverse amministrazioni comunali ai più noti e influenti personaggi locali. In particolare, a tutti quelli che avevano dato prova di fedeltà durante le operazioni di sbarco. In tal modo, con una mossa a dir poco machiavellica, il Governo Militare Alleato dell’A.M.G.O.T. (Admnistration Military Governament Occupied Territorial) designò come sindaci dei paesi i mafiosi e tutti i fiancheggiatori della malavita e contemporaneamente autorizzò gli uomini di fiducia di codesti amministratori, autentici criminali patentati, a portare armi da fuoco. Tutto questo ovviamente permise una restaurazione del labirinto della piccola e media delinquenza, persino quella combattuta e repressa dal Superprefetto Cesare Mori tra le mille difficoltà. La principale causa che spinse gli Alleati ad agire così spregiudicatamente era senza ombra di dubbio riconducibile a due ragioni. Innanzitutto, al fatto che nell’Isola mancava la normale categoria dei politici professionisti, dato che questi in larga misura erano stati fascisti ed ora erano letteralmente improponibili all’opinione pubblica. In secondo luogo, al fatto che in Sicilia non c’era stato un vero e proprio movimento partigiano organizzato da proporsi come controparte. Perciò, gli Alleati, che avevano l’interesse di mantenere l’Isola tranquilla per continuare indisturbati la guerra sul continente, misero al potere una categoria di capi politici dal passato prefascista con tutte le sue contraddizioni. Ben diversa dal resto della Sicilia, però, fu la situazione di Riesi. Qui, infatti, pur non esistendo un movimento partigiano vero e proprio, sin dai tempi del Fascismo, operava clandestinamente un’organizzazione comunista. Quest’ultima, con lo sbarco Alleato e con la relativa fine del regime, uscì allo scoperto. A Riesi, addirittura, i comunisti organizzarono una sorta di servizio d’ordine nello stesso momento in cui le locali autorità fasciste si dileguarono. Inoltre, si misero a disposizione degli anglo-americani al loro primo apparire in paese. Per questo, a Riesi gli Alleati affidarono l’Amministrazione Comunale a individui estranei alla mafia. “La sera del 9 luglio 1943, verso le ore 21, gli abitanti del paese, vennero scossi da un improvviso boato e da colpi di cannonate, provenienti da lontano. Quella sera era senza luna e perciò il paese era proprio al buio. Molti degli abitanti che in quell’ora si trovavano chiusi nelle loro case decisero di mettersi fuori all’aperto, alcuni nelle terrazze, altri ai balconi in modo da poter osservare la provenienza di quelle cannonate. (…). Se in un primo tempo si voleva appagare la curiosità, in seguito la paura invase gli animi. Parecchie persone vennero alla determinazione di fuggire e prendere le vie della campagna, per potervi trovare rifugio e così scampare a qualche bombardamento che si sarebbe potuto avverare da un momento all’altro. Il diavolo farlo apposta, un aeroplano nemico, nel sorvolare in nostro cielo, improvvisamente sgranò una raffica della sua mitragliatrice. La paura si trasformò in terrore, si gridò, s’invocò, si pianse ovunque, non si sapeva orientarsi per trovare scampo. Finalmente venne la calma. Molti rientrarono nelle proprie abitazioni, e con grande trepidazione si passò la notte dentro sino allo spuntar del giorno (…).  Nelle ore più tardi si ebbe la notizia che gli americani, con un gran numero imprecisato di navi da guerra e da sbarco, erano riusciti, mercè le loro forze aeree e navali, a porre piede nella terra ferma di Gela e Falconara. (…). Si  apprese  poi  che  militari  americani, già  sbarcati proseguivano la loro avanzata verso l’interno e precisamente per la strada mulattiera che da Falconara conduce a Riesi. (…). Verso mezzogiorno si ebbe la notizia che i primi nuclei di soldati americani erano scesi dalla trazzera della contrada Fegotto e si avvicinavano verso Riesi. Questa notizia apportò immensa gioia ai comunisti locali. Si videro correre per le vie Antonio e Ferdinando Di Legami, Filippo De Bilio e tanti altri seguaci comunisti, che procurandosi dei drappi di colore rosso, fecero delle bandiere per andare incontro al nemico che avanzava acclamandolo, inneggiandolo come liberatore e cantando l’inno Bandiera Rossa. (…). Lo scrivente fa presente che Riesi fu il primo paese interno della Sicilia ad essere occupato dalle truppe americane e senz’alcuna resistenza. Avvenne solo un piccolo scontro nella contrada di Serralunga, ex Milione, nel quale morirono due soldati: uno tedesco e uno italiano. (…) il comando americano dell’A.M.G.O.T., pose come governatore del paese, un suo tenente di cognome Simonelli, di origine italiana, che nulla comprendeva della nostra madre lingua tanto che l’allora giovane pastore evangelico Enrico Corsani, che conosceva correttamente l’inglese, gli fu da interprete” (Butera Luigi, op. cit., pp. 99-101). Nel corso di questi eventi riemersero i malcontenti dei contadini, che tentarono di occupare alcune porzioni dei grandi feudi. I proprietari terrieri, dal canto loro, per proteggere la terra e i propri beni dagli attacchi di una popolazione sempre più stremata e affamata dalle situazioni, ricorse al sostegno della mafia. Alla fine del settembre 1943, quando gli Alleati spostarono le operazioni militari sul continente italiano, a Riesi e in tutta la Sicilia iniziò un tremendo dopoguerra che, come ogni periodo post-bellico, comportò gravi angosce e logorii. Furti e omicidi si moltiplicarono notevolmente e ricomparve il fenomeno del banditismo. Lo scarseggiare dei generi alimentari di prima necessità e di scarpe, abiti, sigarette e medicinali fece, poi, riemergere l’illecita e lucrosa attività della borsa nera o contrabbando, meglio conosciuta come ‘ntrallazzu. A quest’attività legò i propri destini la malavita organizzata. La mafia, avvalendosi delle coperture degli Alleati, s’infiltrò nei punti cardini della società, riuscendo a controllare il movimento delle merci e dei mezzi di trasporto. La ricomparsa del banditismo e il riemergere del movimento operaio e contadino spinsero le autorità anglo-americane a prendere dei provvedimenti. Quest’ultime cercarono e trovarono i pretesti per destituire i comunisti dall’Amministrazione Comunale, rimpiazzandoli con elementi del ceto liberale. I due successivi sindaci liberali, però, non furon all’altezza della situazione. Sotto di loro, infatti, si determinò una condizione di ingovernabilità che indusse il Comando Alleato a Commissariare l’Amministrazione Comunale sino al marzo 1946, vale a dire sino al momento in cui si sarebbero state le prime elezioni amministrative del dopoguerra. Quest’ultime si svolsero in un clima di grande entusiasmo ed euforia. Ben presto, tuttavia, si registrarono i primi gravi incidenti e tumulti. “Alcuni comunisti e socialisti, che nel periodo fascista erano stati arrestati o inviati al confine dalla Pubblica Sicurezza per misura precauzionale, si alleavano formando il Blocco del Popolo. Contro di loro si formò la Coalizione Democratica della quale fecero parte i democristiani, i demosociali, i qualunquisti. Tra i candidati vi erano Francesco Di Cristina e Francesco De Bilio Rindone che ambiva alla carica di primo cittadino. Acerrima fu la lotta tra i due partiti. Quello Socialcomunista, meglio organizzato, con promesse lusinghiere faceva maggiore presa sulla massa. Si formavano lunghi cortei con in testa le bandiere rosse con falce e martello e un quadro raffigurante Garibaldi, percorrevano le strade del paese intonando inni. A volte qualche analfabeta s’improvvisava oratore e con idee tutte proprie riusciva a convincere l’umile massa ad accrescere le file del suo partito. Non mancarono certamente degli oratori di gran fama come l’on. Pompeo Colajanni per i Socialcoministi e l’on. Rosario Pasqualino Oliveri per la Coalizione Democratica. Con il voto concesso alle donne, il numero degli elettori si aggirava intorno ai 6.000 e le votazioni dovevano effettuarsi in un unico giorno. I Socialcoministi ritenendo che il tempo non fosse stato bastevole per la votazione, con un ordine di scuderia fecero sì che alle prime ore del mattino di quel giorno gli elettori si trovassero accodati in lunghe file dietro le porte ancora chiuse delle sezioni ove erano iscritti per dare il voto.   Quelli del partito della Coalizione Democratica man mano che si presentavano si ponevano in fila, ma pensarono di soprassedere sino a quando non fossero diminuite le file. Ma in seguito, avendo notato che i Socialcomunisti, dopo aver dato il voto, tornavano ad accodarsi per dare posto ai nuovi arrivati del loro partito, i componenti la Coalizione Democratica si riunirono in piazza Garibaldi per commentare l’accaduto. Prevedendo che continuando in quel modo, la vittoria sarebbe stata sicuramente dalla parte avversa, si stabilì di telefonare nelle prime ore del pomeriggio all’on. Pasqualino per informarlo della situazione e per avere dei consigli. Data la gran notorietà e la stima che godeva dalla maggior parte della popolazione riesina, fu prescelto Francesco Di Cristina. La cabina telefonica si trovava allora nel vano adibito a bar da Tano Napolitano, ubicato nella stessa piazza. Mentre si attendeva la risposta, un buon numero di persone era rimasto fuori. La conversazione telefonica fu breve. Il Di Cristina con mossa alquanto contrariata fece comprendere dal suo atteggiamento che non v’era nulla da fare. La gente si accalcò, poi si sentì una voce ch’era rimasta fuori gridare andiamo alle urne e un’altra rompiamo le urne. (…). La prima sezione ad essere invasa e saccheggiata fu la più vicina e cioè quella che si trovava in fondo all’androne del palazzo del Duca di Solferino, mentre altri gruppi, agitando in aria i bastoni, irruppero nelle altre sezioni. Sotto gli sguardi attoniti del Presidente, degli scrutinatori e di coloro che si trovavano nei seggi elettorali, gli energumeni presero d’assalto le urne contenenti le schede già votate, le gettarono a terra distruggendo ogni cosa, senza dar tempo ai carabinieri presenti d’intervenire. Il locale Comando dei Carabinieri, venuto a conoscenza del grave episodio, prevedendo la reazione dei Socialcomunisti, chiese con urgenza dei rinforzi alla Questura del Capoluogo. L’atmosfera s’era fatta abbastanza tesa, si prevedevano gravi conseguenze per l’atto vandalico. Nelle ore del Vespro, nella piazzetta ove si erge il mezzo busto bronzeo del Senatore D’Antona, il candidato socialista designato in quelle elezioni Regionali, pur essendo conscio della tensione esistente tra le parti avverse, osò mettersi su un tavolo, prelevato dalla vicina sezione del suo partito, per tenere il suo discorso politico. I Compagni, radunati in gruppi nella vicina piazza Garibaldi, si avvicinarono all’oratore bloccando il transito della via Roma. Mentre il Centorbi nella sua foga oratoria s’era infervorato, il silenzio della folla venne interrotto da un cupo sparo d’arma da fuoco accompagnato da un lamentevole grido emesso da qualcuno rimasto ferito. Nello stesso istante, a poca distanza, proprio nell’angolo della piazza che immette nel corso Vittorio Emanuele, si vedeva un uomo arrossato dai fumi dell’alcool, tenere le sue ginocchia pressate sul corpo di una persona distesa supina a terra e menare botte senza che quel malcapitato potesse difendersi. Attorno ai contendenti s’era formato un cerchio di persone che non fecero nulla per sedare la lite. S’era avvicinato pure un capitano dei Carabinieri, il quale, pur ricevendo degli epiteti offensivi da quell’energumeno, pensando che un suo intervento potesse far scoccare la scintilla in quei momenti così elettrizzanti, si limitò a commiserarlo abbozzando un sarcastico risolino.    Vittima dello sparo fu il quarantenne Pippo Lo Grasso che si trovava in piazza tra i maggiori sostenitori della Democrazia Cristiana. Il ferito presto soccorso da un medico sul posto, spirò poco dopo a casa sua per la gravità della ferita. In seguito alle indagini espletate dai Carabinieri, venne fermato cime presunto uccisore Pietro De Bilio che nel periodo del Fascismo era stato per cinque anni al confine. Essendo stato accertato che egli, nel momento in cui si udì lo sparo si trovava dietro l’ucciso e che il colpo dell’arma risultava tirato a bruciapelo dal punto dove egli si trovava, il suo fermo fu commutato in arresto nonostante il suo diniego. A gravare la sua posizione fu l’accusa di Angelo Ligotti, nonché la rivoltella mancante di una cartuccia nel suo caricatore che fu trovata dagli inquirenti durante la perquisizione domiciliare. (…), la Corte, ritenendolo colpevole lo condannò a 16 anni di carcere” (Butera Luigi, op. cit., pp. 109-111). Gli avvenimenti indussero le autorità ad invalidare le elezioni. Nell’ottobre dello stesso anno si svolsero le consultazioni suppletive. Il risultato delle urne fu ancora una volta favorevole alle forze progressiste del Blocco del Popolo. In virtù della legge maggioritaria e dei voti riportati dalle due liste, ventisei seggi andarono alla Sinistra e quattro alle forze conservatrici. Le difficili condizioni del momento influenzarono anche l’andamento delle due comunità evangeliche. Una loro analisi, comunque, non è possibile su un unico piano. Quella valdese, infatti, si presta ad una migliore indagine, rispetto a quella pentecostale. Mentre nel primo caso sussiste un’ampia e vasta documentazione, conservata nell’Archivio Valdese di Torre Pellice e in quello della stessa Chiesa Valdese di Riesi, nel secondo caso gli unici strumenti di rilevazione sono qualche diario e le testimonianze verbali. Secondo quanto si evince dalla documentazione, ritornando fra la gente e attenzionando con maggiore cura i problemi quotidiani delle masse, i valdesi da un lato cercarono di recuperare vecchi aderenti e simpatizzanti e dall’altro di sfatare le demagogiche propagande della congregazione salesiana (Da quando quest’ultima aveva posto una sua fissa dimora in paese (1941), allo scopo di tamponare il pericoloso espansionismo evangelico, le due comunità protestanti rijsane si erano trovate di fronte preti più organizzati e compatti di quelli degli anni precedenti). “In questo particolare momento che l’Umanità sta attraversando, in questo travaglio di spirito e di carne, in questa crisi universale di valori, noi abbiamo avuto spesso la sensazione di essere povere cose di fronte ad avvenimenti più grandi di noi (…). Ed è appunto in questi momenti in cui disperatamente abbiamo cercato un punto sicuro di appoggio nel crollo di tante basi che fino ad ieri avevamo creduto certe, che ci si è mostrato prezioso l’aiuto Divino, quell’aiuto che forse troppo poco avevamo desiderato e che anzi qualcuno di noi aveva disprezzato, credendolo qualche cosa di ipotetico. (…). Certo, da numerosi punti di vista, l’anno non è stato dei migliori e dei più sereni, anzi diciamo senz’altro che è stato dei più critici a motivo della presente situazione di guerra che ha portata la tristezza in molte famiglie. (…). Naturalmente, essendo circa una ventina questi richiamati, qualche particolare attività ecclesiastica, e più specialmente quella dell’U.G.V. doveva risentire molto la loro mancanza” (AVTP, Corsani Enrico, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1940-1941). Questa situazione perdurò anche negli anni successivi. Non a caso, in una Relazione pastorale di qualche anno dopo si legge: “Soffermandoci a parlare in generale dell’attività della nostra Chiesa, diremo subito che sintomi sempre più numerosi e appariscenti fanno visibile ai nostri occhi pur fin troppo ottimisti, uno stato generale e particolare di freddezza e di rilassamento, congiunto ad un formalismo tanto più pericoloso quanto meno tale esso appare. Queste parole necessitano spiegazione. Da un punto di vista generale ed esterno potremmo dire, come si è detto in quasi tutte le Relazioni che hanno preceduta questa da almeno dieci anni, le cose vanno bene e che l’anno è stato buono. Ma se dicessimo così non diremmo nulla ed inganneremmo noi stessi e gli altri” (AVTP, Corsani Enrico, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1943-1944). Man mano che la guerra si avviava ad una sua conclusione e cominciavano ad affiorare all’orizzonte le problematiche del difficile dopoguerra, i valdesi si posero il problema se partecipare direttamente o meno alla vita politica. La decisione, dopo tante discussioni, fu favorevole alla discesa in campo. “La fine dell’anno ecclesiastico ha trovato il nostro Paese e tutta l’Europa in pace. Dopo cinque anni di pianto, di sangue e di preghiere, il mondo torma a ragionare. In tutte le menti ed in tutti i cuori vi è un solo pensiero ed un solo sentimento: gratitudine. Gratitudine a Dio per questa fine, gratitudine per quello che ci ha conservato, ed anche, dove ci sono state, per le esperienze dolorose nelle quali la nostra fede  si è maturata. A poco a poco si riannoderanno o legami spezzati, le relazioni interrotte, e la vita, con tutte le sue attività feconde, riprenderà il suo ritmo. Già da molti dei nostri cari lontani abbiamo avute notizie, e ben presto riabbracceremo persone dalle quali siamo stati separati forse per anni. Questi cinque anni sono stati indubbiamente lunghi e rappresentano nella nostra vita un vuoto incolmabile. (…). Siamo stati, volenti o nolenti, costretti a vivere la nostra giornata in funzione della guerra, a pensare i nostri pensieri in relazione allo stato di guerra: tutta l’aria che respiravamo era satura, avvelenata dall’odore della guerra, tanto che ci eravamo talmente abituati a questa atmosfera di guerra, da considerarla una normale condizione di vita: forse ci vorrà del tempo per abituarci alla nuova condizione di vita creata dalla pace. Gli spiriti sono ancora armatissimi, e chi sa quanto tempo ci vorrà ancora prima che si determini il disarmo spirituale che è poi l’unico che conti veramente.   Ancora covano gli odi, i desideri di vendetta, il bisogno di una giustizia che troppo pesa non vedere realmente realizzata subito: non possiamo veramente dire che viviamo in un clima di pace. Immensi problemi materiali, politici, sociali, nazionali ed internazionali, sono all’ordine del giorno, ed alla loro situazione dovranno collaborare, nel rinnovato clima di libertà e di reciproca comprensione, tutti i popoli. A questa immane opera di ricostruzione anche la Chiesa dovrà collaborare per non tradire la sua missione e non venir meno alla sua responsabilità: la Chiesa, cioè i Cristiani: i Cristiani, cioè noi. Si tratta di un problema e di una partecipazione strettamente individuale: pensate quindi sarà la responsabilità del Cristiano. In sostanza, cosa dobbiamo fare? Ci siamo occupati di ciò, rispondendo a questa domanda, a diverse riprese, con conversazioni sull’argomento, pubbliche e private, ed anche recentemente con studi all’Unione Giovanile. Pare che ormai non sia possibile un’assoluta astensione dal partecipare alla vita pubblica del nostro Paese ed alla attività dei vari partiti. La Chiesa può dire una cosa sola: se partecipazione volete che ci sia, o meglio se partecipazione ci dovrà essere, sia essa anzitutto una partecipazione cosciente, frutto di personale e ben maturata convinzione, e non passiva accettazione di teorie non ben intese. Anche qui il Cristiano ha il dovere di distinguersi dalla massa per la riflessione critica che precederà la sua adesione, e il particolare contributo che egli recherà nel settore della sua collaborazione. Il Cristiano deve decidersi non in base a meschini opportunismi , e nemmeno deve lasciarsi abbagliare dalla potenza del numero o dal miraggio di programmatiche realizzazioni materiali. Il Cristiano ha il dovere di saggiare, alla luce del Vangelo, la solidità del terreno, su cui si accinge a comunicare, e deve persuadersi in anticipo della compatibilità delle dottrine cui si prepara ad aderire, con la dottrina cristiana cui  ha  già  aderito  e  cui,  non  lo si dimentichi, soprattutto, che non si possono servire due padroni. E poi, effettivamente la scelta, ricordi il Cristiano che anche lì egli prima di ogni cosa, è tenuto a portare il buon odore di Cristo. (…). Dunque, miei cari fratelli, non fermatevi estatici ad assaporare, in questo clima per noi nuovissimo di libertà, la soddisfazione di una dignità improvvisamente restituitaci, e ricordatevi che, quando con gli ultimi convogli navali i nostri fratelli d’oltre Oceano se ne saranno andati, saremo punto ed a capo, se il nuovo Governo di una nuova Italia, libera e democratica, non sancirà in leggi chiare ed inequivocabili il principio di libertà di religione che oggi a parole si sbandiera in ogni canto, e persino nei settori oscuratamente reazionari” (AVTP, Corsani Enrico, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1944-1945). Nell’immediato dopoguerra, la comunità valdese riconquistò buona parte del suo vecchio prestigio. Poiché alcuni suoi aderenti si candidarono e vennero eletti nelle file del Blocco del Popolo, per cercare di screditarli, i conservatori e i più bigotti avversari cominciarono a spargere in paese maldicenze della peggiore specie. “Diremo a proposito di quest’anno ecclesiastico 1945-1946, che esso è trascorso sereno e senza scosso dal punto di vista interno. Esteriormente, dobbiamo invece rimarcare una forte ostilità nei nostri riguardi, ostilità che ci ha stupiti perché mai si erano determinate simili situazioni con tanta persistenza ed intensità. Ci siamo occupati della questione ampiamente in una Assemblea di Chiesa. Questa ostilità si è maturata nel periodo di propaganda elettorale per le elezioni amministrative, ha avuto un carattere essenzialmente politico, e si è concretata in attacchi personali o generali contro la Chiesa, a motivo della fisionomia politica di alcuni nostri Membri più in vista. Sono state fatte tempestivamente ed energicamente opportune precisazioni, e nelle settimane che hanno preceduto le elezioni politiche la campagna contro di noi è scemata di intensità, fino a sparire quasi completamente almeno nei riguardi della Chiesa come collettività. Naturalmente abbiamo identificato i responsabili di questa campagna denigratoria e calunniosa, nei soliti elementi clericali, oggi neo-democratici. La cosa non ha mancato di allarmarci per gli sviluppi che avrebbero potuto esserci e per l’inevitabile contraccolpo che si sarebbe determinato nei riguardi della nostra attività evangelistica che minacciava di paralizzarsi. L’avvenire dirà se le nostre preoccupazioni erano fondate, o se, gli spiriti ristabilitasi una certa normalità politica, queste speculazioni politico-religiose non abbaino a cadere completamente, avendo finalmente ogni partito politico assunto una chiara fisionomia personale” (AVTP, Il Consiglio di Chiesa, Relazione dell’Anno Ecclesiastico 1945-1946). La comunità tentò di riaffermarsi anche da un punto di vista spirituale, promuovendo una nuova massiccia campagna d’evangelizzazione. L’iniziativa oviamente sortì l’effetto di riavvicinare alla Chiesa un buon numero di cittadini, allontanandoli dai preti e dalla comunità pentecostale. “L’anno scorso avevamo cominciato a portare l’Evangelo fuori dalla Chiesa nei vari quartieri del paese. Quest’anno abbiamo continuato ed intensificato questo sistema di evangelizzazione. Abbiamo tenuto finora 24 riunioni in case private, messe gentilmente a disposizione specialmente da persone che si sono avvicinate alla nostra Comunità solo in questi ultimi anni. Non  dimentichiamo  mai lo  spettacolo  che venerdì dopo venerdì si è offerto ai nostri occhi: piccoli locali bui e senza pavimento stipati fino all’inverosimile di folle attente; visi già noti e visi nuovi che reagivano visibilmente all’annunzio dell’Evangelo con segni di stupore, di assenteismo e di luminosa gioia; il sentimento ed il raccoglimento che davano a chi parlava la sensazione di essere in un Tempio. Al termine di ogni riunione sono stati distribuiti degli opuscoli, affinchè l’azione della Parola predicata fosse continuata dall’azione della Parola scritta. Non è possibile esprimere con dati i risultati di questo lavoro e evangelizzazione, perché l’opera dello Spirito che agisce nel profondo delle anime sfugge alla nostra osservazione. Ma il fatto che molti di questi ascoltatori occasionali sono diventai in seguito assidui frequentatori di culti domenicali e dei corsi di Catechismo, ci consente di nutrire le più radiose speranze sui benefici che la Chiesa di Riesi potrà ricavare da questo ampliamento della sua zona d’influenza. Uno degli organizzatori del venerdì ci ha ripetuto spesso che, anche se tutte le altre attività ecclesiastiche devono essere interrotte, basterebbero questi culti familiari per assicurare l’avvenire dell’opera evangelica a Riesi. Condividiamo pienamente questa opinione e perciò, per quanto dipenderà da noi, continueremo a curare in modo particolare il lavoro di evangelizzazione fuori dalla Chiesa” (AVTP, Cielo Davide, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1947-1948).

 

14-Tullio Vinay e il Servizio Cristiano

La figura più rappresentativa del valdismo rijsano della seconda metà del Novecento fu indubbiamente quella del pastore Tullio Vinay. Essa ha avuto le sorti di assurgere a simbolo della portentosa ripresa evangelica dalle complesse problematiche e difficoltà del periodo bellico e dell’immediato dopoguerra. Non trattasi dell’unico esempio possibile e immaginabile. Unico acuto, però, lo diventa nel momento in cui si considera il complesso quadro socio-economico degli anni Sessanta. Vinay giunse per la prima volta a Riesi nell’autunno del 1961, cioè in un particolare momento contrassegnato dall’esasperarsi e dall’acuirsi delle gravi controversie degli anni Cinquanta. Nel decennio precedente, infatti, la comunità valdese da un lato si era dovuta scontrare con l’ostruzionismo e le infamanti calunnie degli avversari cattolici e di alcuni esponenti del ceto benpensante e dall’altro risentiva gli effetti di una sorta di assenteismo da parte di alcuni suoi autorevoli aderenti. Non a caso, in un resoconto arrivato da Riesi alla Tavola Valdese (non si riesce bene a capire se per iniziativa del Consiglio di Chiesa, del pastore o di un qualche singolo Membro) si legge: “Fu proprio nel primo periodo post-bellico, con l’afflusso politico del regime repubblicano, per risarcire i problemi sociali più avanzati, che molti cittadini, (e fra questi una buona parte di evangelici) si dedicarono alle nuove attività, tanto intensamente, da trascurare buona parte delle ecclesiastiche. Nella Comunità cominciò a regnare una atmosfera di assenteismo, da divenire preoccupante per la Chiesa. Si formarono degli appositi comitati interessati a raccogliere delle forze disseminate. Il periodo degli anni ’50 è stato quello della grande prova per la Chiesa E. V. di Riesi. Molti elementi evangelici, nell’inserirsi nelle attività politiche e sociali, rispecchiano la Chiesa solo per riflesso. Le Chiese, notato il malessere, si sono mosse. Si vedevano nelle pubbliche piazze e nei rioni ministri protestanti tenere delle adunanze, predicando Cristo, e il ritorno nelle Chiese. Mentre ministri cattolici, con processioni ammonivano il pericolo dell’ateismo e dell’estinzione della famiglia. Anche in quello difficilissimo e delicatissimo periodo la Chiesa E. V. di Riesi (come nel suo complesso) si è distinta nel morale,  non cascando nel compromesso dietro l’invito  delle  Autorità  cattoliche (divenute adesso più docili) di unirsi insieme e combattere le nuove forze popolari formatesi, ritenute nemiche n° 1 delle Chiese di tutte le denominazioni. Altre prove in quegli anni ’50 ha dovuto affrontare la comunità di Riesi. Gli insegnanti della Scuola E. V. si sentirono costretti d’interrompere le attività, poiché il servizio non veniva riconosciuto ai fini pensionistici. Tale repressione fu molto risentita nei cittadini e nella comunità. Ai detti sintomi di malessere (per la comunità) fecero seguito altri di carattere sociale. Nel campo del lavoro la crisi economica determinò un afflusso notevole di spopolamento, nella città di Riesi, di  cui si ripercorse in parte nella comunità” (AVTP, La figura storica della Comunità E.V. di Riesi nel periodo post-bellico: 1947-1972, manoscritto). Molte di queste problematiche, ad onor del vero, furono all’ordine del giorno anche nelle altre confessioni religiose operanti a Riesi, da quella cattolica a quella pentecostale. Nello stabilirsi a Riesi e nell’assumere la cura della relativa comunità valdese, Vinay portò con sé quell’insieme di esperienze che aveva avuto modo di maturare nel villaggio comunitario di Agape. Per questa ragione, Vinay e i suoi più stretti collaboratori si proposero tanto agli evangelici quanto ai rijsani in genere come uno dei più importanti gruppi della comunità d’Agape: il Servizio Cristiano. Sin dal suo primo insediamento a Riesi, l’obiettivo che il gruppo si prefisse non fu solo quello di cercare di introdurre nel paese elementi di rinnovamento, ma anche di tentare di qualificare questo sforzo come la più immediata e diretta espressione dei valori cristiani. Inoltre, per evitare strumentalizzazioni ed equivoci, il Servizio Cristiano volle appositamente alienarsi dalle vicende politico-amministrative, considerandole poco sociali e condizionate solo da contingenze di parte. Per tutto l’anno 1962, Vinay e i suoi collaboratori studiarono l’ambiente del paese. Prima di intraprendere qualsiasi attività, infatti, era necessaria un’indagine sociologica che permettesse di comprendere le contraddizioni di fondo di un martoriato paese dell’entroterra siciliano come Riesi. Dopo aver messo sotto ferri e fuoco le incongruenze politiche e socio-culturali del centro, il gruppo del Servizio Cristiano cominciò ad agire concretamente. Quest’ultimo, su una collinetta poco distante dalla periferia del paese, realizzò una serie di infrastrutture destinate a diventare l’elemento propulsore della realtà paesana degli anni Sessanta e Settanta. Cosicchè, nel bel mezzo di un deserto, improvvisamente fiorì quell’oasi che prese il nome di Monte degli Ulivi. Qui sorsero un asilo infantile, una scuola per apprendisti meccanici, un centro agricolo, una biblioteca, una sala per conferenze, due case comunitarie, una scuola elementare e un atelier per ricamo. L’infermeria fu, invece, realizzata in paese. (Per la realizzazione di queste opere, il Servizio Cristiano contò sugli autorevoli contributi del sociologo Danilo Dolci e dell’architetto Leonardo Ricci). La presenza del gruppo del Servizio Cristiano non estraniò la comunità dalle tradizionali preoccupazioni. A quest’ultime, anzi, proprio negli stessi anni in cui Vinay e i suoi collaboratori gettarono le basi del rilancio evangelico, se ne aggiunse una del tutto nuova, quella relativa al pastorato. Questa preoccupazione fu consequenziale al fatto che Vinay, impegnandosi nell’avvio dei lavori per la realizzazione dell’oasi Monte degli Ulivi, si era involontariamente allontanato dalla Chiesa e dalle sue varie attività ecclesiastiche. Ecco perché, in quegli anni, il Consiglio di Chiesa esortò più volte la Tavola Valdese, affinchè Vinay venisse affiancato da un altro pastore. La Tavola Valdese, tra il 1963 e il 1965, assecondò le richieste del Consiglio. A Riesi, infatti, furono inviati due pastori, Jean Tritschler prima e Giorgio Resini dopo. Ma, poiché entrambi arrivarono con un incarico provvisorio, la questione fondamentale non venne risolta. Essa rimase in sospeso anche nel 1966, cioè nel preciso momento in cui scadeva il quinquennio di pastorato di Vinay e la Tavola affidava provvisoriamente l’incarico all’evangelista Odoardo Lupi. Sotto la direzione di quest’ultimo la comunità sembrò vivere un periodo di particolare smarrimento. Odoardo Lupi, infatti, occupando l’incarico di pastore contemporaneamente in altre due comunità del Distretto, non fu presente tutti i giorni della settimana. Pertanto, la vita ecclesiastica della comunità, che da ormai diversi decenni era abituata ad avere una sua guida stabile, sembrò trascurata. Il problema venne risolto nell’anno ecclesiastico 1966-1967, quando la comunità di Riesi fu affidata al pastore Vincenzo Sciclone. Le attività del Servizio Cristiano non risentirono le conseguenze di questi eventi. Esse continuarono regolarmente il loro corso, riscuotendo il massimo consenso popolare verso la fine degli anni Sessanta, in occasione della tragica circostanza del terremoto del Belice del 1968. “Circa il lavoro nella città o con la città, in occasione del terremoto della Sicilia occidentale, parecchi Membri di Chiesa si sono uniti all’iniziativa del Servizio Cristiano per raccogliere nel paese, insieme a tanti cittadini di confessione diversa: viveri, vestiario, coperte e altra roba; alcuni sono andati anche a distribuirli con dei camion o in aiuto fra i terremotati di S. Margherita Belice. Si è ancora contribuito con generi diversi compresa la banca del sangue” (AVTP, Sciclone Vincenzo, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1967-1968). Tutte le iniziative sociali del Servizio Cristiano, riconquistando alla comunità le simpatie del popolo rijsano, non potevano passare inosservate ai preti e al ceto benpensante. Tanto i primi quanto il secondo, nel tentativo di screditare l’operato del Vinay e dei suoi collaboratori, portarono avanti una dura campagna denigratoria. L’acme dell’intolleranza venne raggiunto nel preciso momento in cui un promettente giovane prete guaritore e alcuni bigotti personaggi della cosiddetta prima repubblica del paese organizzarono un dibattito pubblico, durante il quale gli evangelici furono attaccati cinicamente e vergognosamente come mai era successo nella storia dell’intolleranza religiosa di Riesi. Anche i rapporti con i pentecostali non furono ecumenici, tant’è che nella Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1968-1969 si legge: “Circa i rapporti con l’esterno c’è il pericolo di rimanere isolati. Con i cattolici non si sono più fatti gli incontri settimanali di studio biblico che duravano da due anni. Si sono troncati di colpo senza uno specifico motivo. Forse un veto dell’Alto Clero? Non sappiamo! Con i pentecostali vi sono dei contatti personali con qualche fratello. Ufficialmente siamo separati, specie coi responsabili locali” (AVTP, Sciclone Vincenzo, Relazione pastorale dell’Anno Ecclesiastico 1968-1969).

 

15-I Testimoni di Geova

La reputazione di paese evangelico, che Riesi si portava dietro dal 1871, spinse anche i Testimoni di Geova a porre una loro fissa dimora in paese. Su questo movimento religioso non si possiedono le stesse fonti documentarie degli altri indirizzi protestanti. Pertanto, la sua conoscenza è molto limitata. Vediamo di capire il perché di tutto questo. Il motivo della mancanza di certi atti certamente è collegabile all’atteggiamento di distacco e diffidenza che i Testimoni di Geova hanno sempre nutrito verso quanti hanno cercato di studiare la loro religione e struttura organizzativa. Chiaramente ci sono delle ragioni ben precise che giustificano un simile contegno. I Testimoni di Geova hanno sempre guardato con timoroso sospetto quanti si sono posti nei loro confronti su una sorta di piedistallo. La faziosità dei vari studiosi di turno è stata tale da indurli a stigmatizzare e ridicolizzare ingiustamente le varie posizioni del movimento religioso, al punto tale da farle addirittura ritenere fanatiche. Certe considerazioni negative sono sicuramente scaturite da alcuni convincimenti sul rifiuto del servizio militare e civile, sul voto, sul giuramento e sulle trasfusioni di sangue, che sovente hanno esposto i Testimoni di Geova ad autentiche sanzioni giudiziarie. Ecco perché, sui Testimoni di Geova, non si possiedono seri studi e ricerche di un certo rigore scientifico. Tutto questo significa che la comprensione dell’arrivo e dell’insediamento di questi nuovi predicatori religiosi a Riesi, così com’è stato per i pentecostali, deve necessariamente passare tra i più tortuosi e complessi meandri possibili e immaginabili. L’origine della Congregazione rijsana dei Testimoni di Geova fu la logica conseguenza dell’insistente opera di proclamazione portata avanti agli inizi degli anni Settanta da alcuni Proclamatori delle Congregazioni dei vicini paesi di Gela e Sommatino. Il territorio di Riesi, infatti, fu particolarmente curato dai Testimoni di Geova della vicina Sommatino.  Quei primi Proclamatori, nonostante le simpatie che riscossero in vari ambienti, non riuscirono a creare un vero e proprio gruppo e ad individuare un Proclamatore locale. Tutto questo spinse l’organizzazione centrale di Roma a prendere dei provvedimenti particolari. All’uopo, tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, inviò a Riesi due cosiddetti pionieri speciali, cioè una di quelle tante coppie di Proclamatori che generalmente sono solite mettersi a disposizione dell’organizzazione centrale di Roma, per poi spostarsi in quelle parti dell’Italia ritenute bisognevoli. I pionieri speciali in questione erano i coniugi Paola e Michele Diella da Corato (prov. di Bari). Questi, dopo due anni di permanenza, conquistarono un buon numero di adepti, con i quali riuscirono ad aprire una piccola Sala del Regno. Il gruppo rijsano, poi, s’accrebbe con l’adesione di quanti vivevano all’estero o nel nord’Italia, dove erano divenuti Testimoni di Geova, che ritornarono definitivamente in paese.  Secondo le dichiarazioni di un Proclamatore di qualche anno fa, le difficoltà che i Testimoni di Geova hanno trovato a Riesi deriverebbero dalle diffidenze e dall’apatia dei rijsani per le tematiche religiose (ritenute cose da femminucce), nonché dalla ferrea opposizione di tutte le altre confessioni religiose operanti in paese, da quella cattolica a quelle evangeliche. Sebbene il numero di quanti prendono parte alle adunanze settimanali sia apparentemente limitato, in realtà il gruppo di Riesi può contare su un discreto novero di simpatizzanti. A questo punto, però, sorge ovvia una domanda: perché quest’ultimi non frequenterebbero la Sala del Regno e non si cimenterebbero nelle varie attività proclamatrici come dovrebbero? Secondo alcune posizioni, per via dei pregiudizi paesani. Come tutti i riesini, infatti, anche quanti sono Testimoni di Geova sarebbero individui facilmente influenzabili e condizionabili dalle cosiddette voci di popolo, in altre parole dalle varie chiacchiere e dai pullulanti luoghi comuni. Temendo di essere ridicolizzati, alle adunanze settimanali nella Sala del Regno preferirebbero le riunioni private,  tenute nelle proprie abitazioni. Le caratteristiche del movimento dei Testimoni di Geova da un lato e l’alone di mistero che spesso cela la loro vera essenza dall’altro finisce offre agli avversari tutti i pretesti per farsi attaccare e calunniare con le più insultanti espressioni. Non a caso, i Testimoni di Geova sono spesso etichettati come una setta di fanatici, persino da certi evangelici che dovrebbero avere nei loro confronti almeno un minimo di comprensione.

 

 

16-Conclusioni

La presenza protestante in un paese eminentemente solfifero, situato nel cuore del latifondo siciliano e continuamente alla mercè del partito conservatore e dei mafiosi, è stata considerevole ed efficace alla collettività per svariati motivi. Essa non solo ha permesso alle masse popolari di potersi finalmente liberare dal giogo e dalla bigotteria dei ceti benpensanti, ma ha anche contribuito ad accelerare una certa emancipazione. L’Evangelismo, infatti, accanto ad una nuova visione del Cristianesimo, ha avuto il merito di fornire gli strumenti etici indispensabili e necessari al processo di rinascita dallo stato di imbarbarimento, di abbrutimento e di degrado sociale. Esso è letteralmente riuscito a colmare il vuoto morale lasciato dalle istituzioni e non saputo adeguatamente colmare dal movimento operaio e contadino locale. Del resto, a Riesi, quest’ultimo non ha avuto una sua storia ben definita come negli altri centri dell’Isola. Qui, infatti, le prime Società Operaie per il Mutuo Soccorso, venendo create dai conservatori e dai vari arrampicatori sociali di turno per esclusivi interessi personali, hanno conseguito uno scarsissimo consenso. La Chiesa Valdese di Riesi, in particolare, è stata il solo ed unico punto di riferimento per buona parte del proletariato paesano. Mancando in questo centro delle valide organizzazioni sindacali degne di tale nome sino al secondo dopoguerra, infatti, essa è diventata l’esclusivo appiglio per quanti non si sono visti adeguatamente rappresentati da certi capi-popolo. Anche l’Evangelismo Pentecostale e i Testimoni di Geova hanno rappresentato un importante capitolo di storia sociale e religiosa del paese. Tuttavia, non si può certo dire che quest’ultime esperienze abbiano avuto lo stesso spessore di quella valdese. Questi movimenti hanno affrontato solo tematiche di natura religiosa, commettendo l’errore di perdere di vista le gravi problematiche locali. Ecco perché, a differenza dei valdesi, si sono alienati il sostegno delle grandi masse popolari.